martedì 4 novembre 2014

Omaggio a Noel Isidore Thomas Sankara


L’esprit de Sankara plane sur le Faso Thomas Sankara
Dopo 27 anni di dittatura, le proteste popolari della gente del Burkina Faso sono riuscite a destituire il presidente Blaise Compaorè che stava cercando di cambiare la Costituzione per mantenere il potere ad oltranza.
Blaise Compaorè, oltre ad essere un despota è stato l’omicida di Thomas Sankara, il Presidente più amato della storia del Burkina Faso. Compaoré e SankaraSankara diede delle speranze concrete al Paese più disagiato al mondo, facendolo emergere dalla povertà, rendendolo autosufficiente ed evolvendolo culturalmente. Si oppose all’imperialismo finanziario dei poteri internazionali rifiutandosi di pagare il debito illegittimo inflitto dagli ex coloni, anche per questo, con la complicità dei servizi francesi e americani pagò con la vita, tradito dall’amico che l’avrebbe poi sostituito alla guida del Paese.
Qualche giorno fa ricordando questo strepitoso personaggio scrissi: “gli uomini muoiono, le idee no!”
Nonostante il tempo passato, la sua voglia di Cambiamento riecheggia nelle manifestazioni di piazza che hanno rovesciato il regime.
Dal racconto della cooperante Maria Teresa Cobelli emerge il lato umano e culturale delle proteste: “ho visto giovani ripulire le strade dalla sporcizia e rimuovere i copertoni bruciati, stamattina (ieri, ndr) ho visto gli abitanti di un quartiere difendere il grande magazzino di un libanese dall’assalto di altri manifestanti.”
Sankara oggi è vivo più che mai perché cammina sulle gambre della ribellione civile.
Questo è il ricordo che io ed i miei colleghi Bernini Paolo, Mirko Busto ed Emanuele Scagliusi gli abbiamo dedicato proprio pochi giorni fa: http://goo.gl/Z6ZsxZ
http://www.claudiocominardi.it/lesprit-de-sankara-plane-sur-faso/




Esplora il significato del termine:
«Io e il mio Burkina Faso nel momento della svolta»
Maria Teresa Cobelli dirige un progetto di cooperazione È una rivoluzione pacifica: la massima espressione del desiderio di libertà Dopo gli scontri ho visto giovani ripulire le strade e raccogliere i copertoni bruciati

Riuscire a parlarle è un’impresa. Ma una volta cha la sua voce (che sembra quella di una ragazzina) si fa finalmente nitida - «ora il telefono prende meglio, sono arrivata a casa. E sta per piovere, significa che le linee andranno a singhiozzo» - nemmeno fermare il suo entusiasmo è cosa facile. Perché «questo, mi creda, è un momento storico incredibile. E io in qualche modo sono qui».
Maria Teresa Cobelli, 68 anni, vive in Africa da oltre quarant’anni. Di cui trenta trascorsi in Burkina Faso. Dirige un progetto di cooperazione internazionale sullo sviluppo dell’agricoltura per la ong Acra di Milano. «Sono qui dal 1983, da quando cioè al potere c’era Thomas Sankara. Ecco: oggi registriamo con i nostri occhi la caduta di chi l’ha ucciso, Blaise Compaoré. E le assicuro, per me questa è un’emozione enorme». Maria Teresa vive a Diapaga, piccola cittadina a sette ore dalla capitale del Burkina Faso: «Ho avuto la fortuna di essere in città, a Ouagadougou, negli ultimi giorni». Naturale chiederglielo: fortuna? Ma non ha avuto paura?. «Questa è una rivolta popolare vera, non bisogna averne paura, anzi».
Immagini, odori, parole, silenzi. Li ha tutti impressi nella memoria. «Martedì ero in città. Sfilavano almeno un milione 200mila persone, altre 500mila poco fuori e ben tre milioni nelle altre cittadine: un’enormità. E protestavano in modo pacifico, solo per far capire a Campaoré di ritirare il decreto che avrebbe modificato la costituzione in modo da consentirgli di essere rieleggibile».

Il presidente sapeva che avrebbero circondato il Parlamento, e allora «ha trasferito i suoi deputati nell’hotel accanto: per votare non avrebbero nemmeno dovuto attraversare la strada». Ecco perché alla fine «i manifestanti hanno bruciato tutto».
Ma i momenti degli scontri Maria Teresa li ha vissuti nel suo ufficio, insieme allo staff. «Eravamo tutti attaccati a radio e telefonini per carpire più informazioni possibile. Radio Omega aveva un giornalista in diretta dal Parlamento: “Stanno arrivando”, diceva. E a quel punto, anche noi abbiamo visto il fumo salire in cielo».

Maria Teresa è tornata ieri nella capitale, «davanti alle macerie del Parlamento». E la sera prima «c’era ancora un sacco di gente nella piazza della rivoluzione, in attesa che si formalizzasse il passaggio di potere. Molta gente auspicava che fosse davvero un momento di transizione, travolta dall’eccitazione, dai dubbi su dove si trovasse Campaoré». Fino a che il suo volo non è decollato.
«Se ci sono stati momenti di distruzione? Certo. Ma mirati, mai a caso. Qui la gente, molto meno analfabeta di quanto si pensi, sapeva esattamente chi e quando colpire. Nell’albergo della moglie del presidente hanno fatto uscire i clienti prima di entrare in azione». L’opposizione ha chiesto di smetterla con la violenza. «La gente ha fame, ovvio. Ma ha dell’incredibile veder sfilare biciclette e moto, anche di notte nonostante il coprifuoco, cariche di sacchi di riso presi dal magazzino di chi nemmeno sapeva quanto costassero. Ci si sente legittimati». Con limiti chiari, però. «Ho visto i giovani ripulire le strade dalla sporcizia e rimuovere i copertoni bruciati, stamattina (ieri, ndr) ho visto gli abitanti di un quartiere difendere il grande magazzino di un libanese dall’assalto di altri manifestanti. Ogni degenerazione viene contenuta».

Pensa proprio ai ragazzi, Maria Teresa, «perché sono loro che hanno fatto la rivoluzione. Ed è un momento grandissimo. I miei fratelli mi hanno chiamato preoccupati - “Sentiamo cose terribili” - ma quella che ho l’onore di vivere è una svolta storica straordinaria. La gente voleva la libertà e se l’è presa. È un precedente non solo per questo paese, ma per il Togo («dove presto mi trasferirò»), il Congo e il Ruanda. Per tutta l’Africa». Un’Africa che in Burkina Faso esprime tutta la sua «dignità»: «Lavoriamo alla pari con i formatori locali, sono bravi, dinamici, svegli. E allora perché questo paese resta fermo? mi sono chiesta. Per colpa della classe politica. Il popolo ne ha preso coscienza, e l’ha fermata» «Io e il mio Burkina Faso nel momento della svolta»

Maria Teresa Cobelli dirige un progetto di cooperazione È una rivoluzione pacifica: la massima espressione del desiderio di libertà Dopo gli scontri ho visto giovani ripulire le strade e raccogliere i copertoni bruciati

Riuscire a parlarle è un’impresa. Ma una volta cha la sua voce (che sembra quella di una ragazzina) si fa finalmente nitida - «ora il telefono prende meglio, sono arrivata a casa. E sta per piovere, significa che le linee andranno a singhiozzo» - nemmeno fermare il suo entusiasmo è cosa facile. Perché «questo, mi creda, è un momento storico incredibile. E io in qualche modo sono qui».
Maria Teresa Cobelli, 68 anni, vive in Africa da oltre quarant’anni. Di cui trenta trascorsi in Burkina Faso. Dirige un progetto di cooperazione internazionale sullo sviluppo dell’agricoltura per la ong Acra di Milano. «Sono qui dal 1983, da quando cioè al potere c’era Thomas Sankara. Ecco: oggi registriamo con i nostri occhi la caduta di chi l’ha ucciso, Blaise Compaoré. E le assicuro, per me questa è un’emozione enorme». Maria Teresa vive a Diapaga, piccola cittadina a sette ore dalla capitale del Burkina Faso: «Ho avuto la fortuna di essere in città, a Ouagadougou, negli ultimi giorni». Naturale chiederglielo: fortuna? Ma non ha avuto paura?. «Questa è una rivolta popolare vera, non bisogna averne paura, anzi».
Immagini, odori, parole, silenzi. Li ha tutti impressi nella memoria. «Martedì ero in città. Sfilavano almeno un milione 200mila persone, altre 500mila poco fuori e ben tre milioni nelle altre cittadine: un’enormità. E protestavano in modo pacifico, solo per far capire a Campaoré di ritirare il decreto che avrebbe modificato la costituzione in modo da consentirgli di essere rieleggibile».
Il presidente sapeva che avrebbero circondato il Parlamento, e allora «ha trasferito i suoi deputati nell’hotel accanto: per votare non avrebbero nemmeno dovuto attraversare la strada». Ecco perché alla fine «i manifestanti hanno bruciato tutto».
Ma i momenti degli scontri Maria Teresa li ha vissuti nel suo ufficio, insieme allo staff. «Eravamo tutti attaccati a radio e telefonini per carpire più informazioni possibile. Radio Omega aveva un giornalista in diretta dal Parlamento: “Stanno arrivando”, diceva. E a quel punto, anche noi abbiamo visto il fumo salire in cielo».
Maria Teresa è tornata ieri nella capitale, «davanti alle macerie del Parlamento». E la sera prima «c’era ancora un sacco di gente nella piazza della rivoluzione, in attesa che si formalizzasse il passaggio di potere. Molta gente auspicava che fosse davvero un momento di transizione, travolta dall’eccitazione, dai dubbi su dove si trovasse Campaoré». Fino a che il suo volo non è decollato.
«Se ci sono stati momenti di distruzione? Certo. Ma mirati, mai a caso. Qui la gente, molto meno analfabeta di quanto si pensi, sapeva esattamente chi e quando colpire. Nell’albergo della moglie del presidente hanno fatto uscire i clienti prima di entrare in azione». L’opposizione ha chiesto di smetterla con la violenza. «La gente ha fame, ovvio. Ma ha dell’incredibile veder sfilare biciclette e moto, anche di notte nonostante il coprifuoco, cariche di sacchi di riso presi dal magazzino di chi nemmeno sapeva quanto costassero. Ci si sente legittimati». Con limiti chiari, però. «Ho visto i giovani ripulire le strade dalla sporcizia e rimuovere i copertoni bruciati, stamattina (ieri, ndr) ho visto gli abitanti di un quartiere difendere il grande magazzino di un libanese dall’assalto di altri manifestanti. Ogni degenerazione viene contenuta».
Pensa proprio ai ragazzi, Maria Teresa, «perché sono loro che hanno fatto la rivoluzione. Ed è un momento grandissimo. I miei fratelli mi hanno chiamato preoccupati - “Sentiamo cose terribili” - ma quella che ho l’onore di vivere è una svolta storica straordinaria. La gente voleva la libertà e se l’è presa. È un precedente non solo per questo paese, ma per il Togo («dove presto mi trasferirò»), il Congo e il Ruanda. Per tutta l’Africa». Un’Africa che in Burkina Faso esprime tutta la sua «dignità»: «Lavoriamo alla pari con i formatori locali, sono bravi, dinamici, svegli. E allora perché questo paese resta fermo? mi sono chiesta. Per colpa della classe politica. Il popolo ne ha preso coscienza, e l’ha fermata»

http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/14_novembre_03/io-mio-burkina-faso-momento-svolta-5a66cd02-634e-11e4-bb4b-8f3ba36eaccf.shtml






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