giovedì 23 ottobre 2014

Il costo dei cambiamenti climatici


Quanto costa fermare il cambiamento climatico? Di fronte al riscaldamento globale che moltiplica i disastri (in)naturali, piega economie e falcidia vite, la domanda che separa l’azione della comunità internazionale dalla teoria è essenzialmente quella di un ragioniere. E grazie ai numeri appena trapelati da un documento riservato dell’Onu, la risposta sembra adesso più chiara e stupefacente di quanto non lo sia mai stata: solo lo 0,06 dei consumi globali, un’inezia.

Il cambiamento climatico è in assoluto una delle maggiori emergenze che la società globale del XXI secolo si trova ad affrontare. L’evidenza scientifica al riguardo, come alla buona fetta di responsabilità umana per la tendenza al riscaldamento in atto, è resa ormai estremamente solida da una traboccante mole di dati. Sappiamo che il cambiamento globale è in atto, e (sulla carta) sappiamo anche come fermarlo, o quantomeno rallentarlo a sufficienza per permettere alla società tutta di adattarvisi. Nonostante ciò, finora è stato fatto davvero troppo poco per ottenere tutto questo. Tant’è che nonostante la crisi economica le emissioni di gas serra in atmosfera sfondano un record dopo l’altro.

I motivi di questa stupefacente dimostrazione di irrazionalità da parte della specie che si vanta di essere doppiamente sapiens sono molteplici, e vanno dalla resistenza psicologica al cambiamento alla crescente pressione sulla politica da parte di lobby che difendono potenti interessi costituiti. Tra i vari perché spicca però quello della complessità.

Per ovviare a questo non trascurabile inconveniente, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno commissionato all’Ipcc (l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu) un documento di sintesi che possa aiutare la comprensione – e la comunicabilità – delle cambiamento climatico in atto, insieme a quella delle azioni per contrastarlo. Informazioni che altrimenti, come hanno dichiarato gli Stati Uniti, rischiano di essere altrimenti «impenetrabili per il decisore politico o per il pubblico», ossia elettorato e stakeholders.

Il dossier è ancora secretato, ma l’agenzia di stampa Reuters è riuscita a impossessarsi di una bozza di 32 pagine in cui si afferma che «le azioni per combattere il cambiamento climatico ridurrebbero la crescita globale dei consumi di beni e servizi dello 0,06%  l’anno per il 21° secolo, rispetto a una crescita prevista dell’1,6-3,0% per cento all’anno» senza “interferenze”. Costi ritenuti «quasi insignificanti rispetto alla crescita prevista» dagli Usa, e definiti dalla stessa Unione europea nelle osservazioni al documento come «relativamente modesti». Senza dimentica che la diminuzione stimata di beni e servizi consumati non si traduce automaticamente in un calo del benessere; la green economy viene anzi individuata come un elemento fondamentale di sviluppo e di crescita occupazionale in Europa.

Domani proprio il Consiglio europeo si troverà ad affrontare una cruciale prova dei fatti, la definizione del pacchetto Clima-Energia con orizzonte 2030. Gli ambientalisti chiedono «ambiziosi obiettivi vincolanti per la quota di energia da fonti rinnovabili (45%) , l’efficienza energetica (40%) e riduzione delle emissioni (60%)», ma le indiscrezioni che arrivano dai contatti pre-vertice non sono affatto buone, e puntano al ribasso.

L’Italia del premier Renzi si presenterà al Consiglio come protagonista di un semestre europeo sbiadito. In aula al Senato, oggi – riporta l’Ansa – Matteo Renzi garantisce che il nostro Paese «sosterrà fino in fondo il tema degli investimenti per quanto riguarda i green jobs e la sostenibilità ambientale», ma in casa propria si fa promotore di un decreto, lo Sblocca Italia, definito dalle associazioni verdi nostrane come «totalmente antiambientale». Con quale credibilità ci facciamo portavoci in Europa del cambiamento? Proiettare a Bruxelles una slide con i numeri dell’Onu prima dell’inizio del meeting potrebbe forse aiutare a cambiare idea.





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