venerdì 24 gennaio 2014

LE CINQUE VIRTÙ CARDINALI

Vi è un famoso aneddoto circa il leggendario imperatore Yao, conosciuto per la sua saggezza, che sorprende per il contrasto con il tipo di leadership a cui siamo oggi abituati. Questa storia descrive le persone comuni mentre vivono in uno stato idilliaco di pace e felicità. Un giorno, preoccupato circa l’efficacia del suo governo nel rendere felici i propri cittadini, l’imperatore Yao si traveste da cittadino comune e si avventura in città. Nel mentre egli incontra un vecchio contadino dai capelli grigi che, con aria soddisfatta, fa girare una ruota della preghiera, cantando una canzone:

Mi alzo con il sole per lavorare 
e mi riposo al suo tramonto. 
Per l’acqua, scavo un pozzo. 
Per mangiare, coltivo i campi. 
Cos’è per me il potere di un imperatore? 

Questa storia trasmette, con efficacia e allegria, un concetto di vita e coglie lo spirito che diede origine e alimentò la grande tradizione dell’individualismo cinese che, oscurato da altre correnti storiche, fu portato alla luce dagli studiosi occidentali. La questione per cui questa tradizione, che conteneva il germe di molti elementi liberali, non è giunta a piena realizzazione merita ulteriori approfondimenti.

Ma il fatto è che questa eredità spirituale è presente e sta iniziando a ottenere riconoscimenti. Il senso di armonia che caratterizza il normale stato delle cose permea tremila anni di storia della Cina. Esso può essere descritto come una «innata consapevolezza» del popolo cinese, una sensibilità che porta allo spirito umano ordine e prospettiva cosmopolita. Questa spiritualità, unica nel suo genere, è evidente sia nel Buddismo cinese sia in quello Mahayana giapponese, in quanto «insegnamento perfetto» (engyo in giapponese), onnicomprensivo e definitivo. Questa dimensione del pensiero cinese ha alimentato in de Bary e Vandermeersch la speranza in una risoluzione del punto di crisi in cui si trovava intrappolata la civiltà europea.
Sun Yat-sen, che trascorse parte della sua giovinezza a Macao, scrisse che una morale corretta è essenziale per sostenere in modo stabile il benessere del popolo e della nazione. Egli si riferiva a una moralità che non può essere raggiunta attraverso la pratica formale della cortesia e del rituale. Questa può essere coltivata soltanto attraverso quella visione che io ho prima definito «innata consapevolezza», la fede in un ordine superiore o armonia. In modo simile, le Cinque Virtù Cardinali – gentilezza, rettitudine, decoro, giudizio e lealtà – motto dell’Università dell’Asia Orientale, si rivitalizzeranno e assumeranno un nuovo significato come linee guida per il XXI secolo, se interpretate alla luce di questa grande tradizione cinese.
Le virtù confuciane sono oggetto di discussione nel Buddismo ed è da questa prospettiva che desidero prendere in considerazione il loro significato per la vita contemporanea.
 La prima, la gentilezza, suggerisce un risveglio dell’umanesimo e dell’azione umanitaria. In senso più ampio, essa implica un amore diretto verso tutta l’umanità.
La seconda, la rettitudine, ha inizio con la padronanza degli impulsi egoistici. Il mondo vive oggi un periodo di transizione. Allo stesso tempo in cui viene rispettata la sovranità delle nazioni, è necessario superare il nazionalismo eccessivo e campanilista. Ci dobbiamo impegnare per affermare la supremazia dell’umanità tutta e intraprendere azioni a beneficio dell’intera famiglia umana. Il requisito per diventare un cittadino del mondo è proprio il dominio sulle pulsioni egoistiche.
La terza virtù cardinale, il decoro, si riferisce al riconoscimento e al rispetto dell’esistenza degli altri. Il nostro mondo è un aggregato di differenti popoli e paesi, ciascuno con la propria cultura e morale che lo definiscono e identificano. La coesistenza pacifica delle nazioni si fonda sull’accettazione, la comprensione e il rispetto di queste differenze culturali.
La quarta virtù, il giudizio, è fonte di qualsiasi sforzo creativo. Esso potrebbe venire in nostro aiuto, in modo costruttivo, in quei disastri come la Guerra del Golfo, che non è costata solo delle vite umane, ma ha fatto precipitare anche l’inquinamento ambientale a un livello spaventoso. Simili eventi minacciano noi e il nostro mondo, ma in un tentativo di trovare una risoluzione è necessario liberarsi da modalità rigide di pensiero. Se ci apriamo a differenti possibilità, avremo accesso a nuove sorgenti di giudizio che potranno offrire nuovi modi per risolvere i problemi del pianeta.
L’ultima delle cinque virtù cardinali è la lealtà, ma questa assume anche il significato di fedeltà. Essa è la qualità fondamentale e necessaria per trasformare la sfiducia in fiducia, l’ostilità in comprensione e per cambiare l’odio in compassione. Gli elementi di familiarità e amicizia non possono essere coltivati «strategicamente». Senza vera fiducia, le persone non diventeranno mai capaci di aprire il proprio cuore e la mente l’un l’altra.

Un'analisi buddista dello stato della mente umana
Gli insegnamenti che giacciono alla base della fondazione del Buddismo e del Cristianesimo riflettono la predicazione e l'insegnamento del Budda e di Gesù, che vennero raccolti e trascritti dalle rispettive comunità dei discepoli. Nel primo Buddismo, inoltre, alla "parola del Budda" vennero correlate altre tradizioni. Le parti sostanziali della "parola del Budda" sono conservate nel canone Pali, una vera e propria rivoluzione spirituale che inizia con una analisi essenziale della condizione umana e offre a essa un sentiero spirituale terapeutico di salvezza. Il primo sermone, tenuto a Varanasi (Benares), mette in moto "la Ruota dell'insegnamento"; in questo discorso Shakyamuni afferma che tutto è dolore, transitorietà e "non-sé", poiché le cinque forme dell'esistenza umana (le cinque componenti o cinque aggregati, n.d.t.) - la forma di esistenza corporea, i suoi sentimenti, le sue percezioni, l'"interpretazione" fisica e la coscienza - sono transitorie. La ragione per l'esistenza della sofferenza è allora l'avidità umana (la brama, sanscr. trsna) nei confronti dell'esistenza, che condanna al ciclo di reincarnazioni.
Secondo il pensiero buddista l'individuo è caratterizzato dall'avidità del suo desiderio di "voler essere sé", dall'aggrapparsi al sé e dal correlare ogni cosa al sé. È la "brama" (trsna), dove sono pienamente espresse simultaneamente l'"ignoranza" del vero (avidya) e la persistenza del transitorio-apparente (maya). Data questa considerazione di futilità del mondo, l'obiettivo della salvezza risiede nel Nirvana. Si potrebbe tentare un parallelo con il Cristianesimo accostando il termine "brama" alla parola "concupiscenza".
Con l'aiuto del cosiddetto "ottuplice sentiero" - base sostanziale dell'insegnamento buddista - questo ciclo di interminabili reincarnazioni potrebbe essere condotto alla pace, alla conoscenza, al risveglio e all'estinzione (Nirvana). Il punto di partenza di tale insegnamento è un atteggiamento umanistico unito a una profonda esperienza etica e psicologica e a una intensa ricerca spirituale condotta attraverso le più varie forme dell'insegnamento. Tutte le forme di insegnamento sono comunque accomunate da questa originaria ricerca sul modo di superare la sofferenza.
La questione centrale della secessione dal Brahmanesimo e dalla tradizione vedica operata dal Budda è la seguente: «È possibile esercitare dominio senza conquistare o essere conquistati?» (Samyutta-nikaya 4,20).

Il Buddismo e la pace
Assieme alla diagnosi della condizione essenziale di ogni persona fatta attraverso le cosiddette "quattro nobili verità" della sofferenza e delle cause che la generano, il Budda dà inizio a un percorso terapeutico gravido di conseguenze anche per la questione della "pace". Nell'etica buddista, che oscilla tra i due differenti pilastri delle quattro nobili verità da una parte e del Nirvana come luogo di riposo dall'altra, l'idea della pace è fondamentalmente condotta su un doppio binario: la forma della "non-offesa" (ahimsa) - inizialmente intesa come regola radicale per la comunità monastica, più tardi estesa comunque come proibizione contro ogni uso della forza anche per tutti gli altri - e la forma di un impegno positivo nell'amore verso tutti gli esseri (maitri) e nella compassione (karuna). Come prerequisiti per l'esperienza di salvezza entrambe contengono un potenziale per una gestione pacifica del conflitto che trascende l'interesse individuale della persona impegnata nel processo di auto-perfezionamento.
Può questo potenziale di pace essere tradotto in una pratica politica e sociale, applicabile poi universalmente in linea generale? La nozione diahimsa come forma di nonviolenza, cioè preferire la sofferenza piuttosto che rispondere alla violenza con la violenza, porta alla questione se possano esistere per il presente nuovi approcci derivati dalla tradizione del primo Buddismo. Sarvodaya è un programma di questo tipo, sviluppato in un contesto buddista e finalizzato allo sviluppo religioso ed etico-sociale dell'individuo.
Inoltre, in quale misura queste idee tradizionali possono essere reinterpretate nuovamente e ampiamente così da essere utili a una comprensione della pace realizzata attraverso una estesa riforma etica e sociale e basata allo stesso tempo su un cambiamento nella coscienza dell'individuo?
:IMM:Utilizzare il tradizionale concetto di maitri (metta) come rispetto per tutti gli esseri viventi può costituire un buon punto di partenza per partecipare attivamente all'azione compassionevole (karuna) di rimozione della causa della sofferenza. Questa dovrebbe condurre, attraversomudita - la simpatia - all'imparzialità (upekkha/upeksa), e quindi a una personalità armoniosa.
Attraverso gli scambi transcontinentali l'insegnamento buddista raggiunse la Cina tramite l'estremo orientale della Via della Seta e arrivò fino all'Asia orientale e al Giappone, dove sviluppò nuove prospettive e dimensioni spirituali. Il Buddismo poté dunque adattarsi ai più vari ordini sociali, come la società rurale del Sud est asiatico o la moderna società industriale del Giappone, così da meritarsi la definizione di fenomeno universale della cultura umana.
Nichiren (1222-1282), nel suo movimento di riforma, vede la verità onnicomprensiva nel Sutra del Loto: attraverso il pronunciare il Namu-myoho-renge-kyo, - "è reso omaggio al Sutra del Loto del Dharmameraviglioso" - si ottiene la condizione del massimo stato vitale del risveglio di Shakyamuni, dal quale deriva naturalmente ogni comportamento eticamente corretto. [...] Nichiren applica il messaggio religioso del Sutra del Loto al suo tempo e al suo paese e ne trae energia e completa fiducia in se stesso. Anche se altre tradizioni buddiste avevano molto enfatizzato la salvezza individuale, Nichiren andò ben oltre, lottando per una riforma religiosa e sociale a livello dell'intero paese.
Il neo-movimento buddista Soka Gakkai ("Società per la creazione di valore") è impegnato a proseguire su questo sentiero. Il motto della Soka Gakkai è promuovere la pace, la cultura e l'educazione attraverso il Buddismo, e in questo cammino l'aspetto esterno e mondano procede di pari passo con l'aspetto spirituale. Il movimento trae la sua fondamentale ispirazione da Nichiren e dal Sutra del Loto e si considera fondamentalmente laico e socialmente impegnato.


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