mercoledì 30 ottobre 2013

SULCIS, LO SCANDALO DELLE MINIERE CHIUSE E MAI BONIFICATE

(il fatto quotidiano)

SARDEGNA Le due società regionali, Igea e Ifras, hanno drenato finora centinaia di milioni senza produrre nulla. Se non clientelismo e malaffare

La bonifica mai fatta del Sulcis Iglesiente è costata finora centinaia di milioni. Trecento finiti nella voragine Igea, altrettanti nella Ifras. La prima è una società in house della Regione, in quota Udc. La seconda è un’associazione temporanea di imprese (Ati), tra due privati, il sardo Massimo Pireddu e il pugliese Enrico Intini, coinvolto a Bari nell’inchiesta sulle escort di Gianpaolo Tarantini e recentemente condannato a Napoli nell’inchiesta sugli appalti per la sicurezza. Nelle loro mani la Regione, senza nessuna gara né capitolati d’appalto, ha messo con l’ultima legge finanziaria altri 112 milioni per i prossimi quattro anni. Tutto per bonifiche delle aree minerarie di tutta la Sardegna, in gran parte concentrate nelle zone dell’Iglesiente e del Sulcis. Bonifiche mai fatte. Uno sperpero di denaro pubblico che rappresenta una piccola parte del malaffare che coinvolge i piani alti della politica sarda, certe zone dei sindacati, una parte consistente degli operai: quelli che gli altri, rimasti fuori dal giro, chiamano “il cerchio magico”.  
Quel “cerchio magico”    che gestisce tutto    Questa non è la storia del Sulcis. Non è la storia degli operai Alcoa di nuovo in piazza a Roma lunedì scorso per tentare inutilmente di strappare un rinvio dei licenziamenti. Né è la storia di Carbosulcis, dove si spera ancora di estrarre carbone o di usare le miniere per imprigionarvi l’anidride carbonica. Qui no. A Iglesias e dintorni con Igea, Ifras, Parco Geominerario, parliamo di miniere di zinco e piombo, esaurite o abbandonate perché non più produttive. Nessuno le vuole resuscitare. Da lì nasce Igea, nel 1998, incorporando tutte le società minerarie dell’isola, a partire dall’Ente minerario sardo, con la missione di bonificare e aprire tutto quel mondo allo sviluppo turistico, culturale, ambientale. Come hanno fatto altrove. In Francia o in Germania. Ci sono miniere chiuse anche a Lula e al-l’Argentiera   , zone interne del Nuorese e mare del Sassarese. Ma il nocciolo è qui, nella valle che da Iglesias porta al mare, innervata sui due lati da archeologia industriale e tanti detriti, quelli grigi meno inquinanti, quelli rossi a rischio. E poi avanti, nelle valli sul mare, fino alle spiagge da cui si imbarcava, con i barchini di Carloforte senza chiglia, il minerale estratto. Nomi noti per chi ama la bellezza di questi posti: Funtanamare   , Nebida, Masua, Buggerru, Ingurtosu, su fino ad Arbus. E giù fino a Fluminimaggiore.    Masua è il cuore di tutto. Per la bellezza dell’ex miniera al centro di una valle di duecento ettari che scivola verso il mare attraverso due spiagge. E perché lì sono arrivati a fine agosto decine di carabinieri inviati dalla Procura di Cagliari per sequestrare tutto ciò che può essere utile a far luce su questo scandalo. Operazione Geo&Geo. Quattro indagati, una ex mensa affidata al Cral degli ex minatori di Nebida, presieduto proprio da uno degli indagati, Marco Tuveri, autista del presidente e sindacalista Uil, che non funzionava da dopolavoro: dentro c’era un deposito di taniche di gasolio che, secondo gli inquirenti, venivano regalate ai dipendenti amici per rafforzare quel “cerchio magico”. Oppure vendute per arrotondare lo stipendio. I carabinieri hanno trovato 52 lattine da 35 litri. Una scorta, dice l’azienda. Un mercato nero, dicono numerosi testimoni, tra i quali i quattro autori delle denunce anonime, documentate anche con foto e video. E confermate da un numero: quei 645 litri di gasolio consumati ogni giorno da un’azienda che appare immobile. Non bastano a giustificare questi consumi tutti quei pick-up Toyota a disposizione di capi e capetti 24 ore su 24, festivi compresi.    I “jumbo” finiti    a lavorare in Marocco    Così racconta Francesco Carta, segretario regionale Cgil chimici e minatori. Così raccontano gli operai non compromessi nei vari traffici, protetti dal-l’anonimato: chi non è connivente è costretto a un silenzio omertoso. Si racconta di straordinari fatti fare solo ad alcuni, mandati il sabato e la domenica a far biglietti alle miniere aperte al pubblico. Fino al 27 settembre, quando sono state chiuse per mancanza di soldi, come recita l’home page del sito Igeaspa.it  . O di una diaria conquistata una volta per un lavoro fuori sede e diventata voce fissa del salario dopo il ritorno a casa. E di qualche traffico più grosso. Come quei due jumbo, gigantesche macchine per scavare miniere, venduti come ferrovecchio insieme ai resti arrugginiti della miniera e poi finiti, dopo un breve passaggio in officina, a lavorare per aziende sarde in Marocco. E qualcosa di più piccolo: un appalto senza gara per un muro realizzato a Nebida che sembra servisse non tanto a Igea quanto a Daniela Tidu, compagna di Marco Tuveri, assunta al Geoparco e co.co.pro. in Igea. Anche lei indagata.    E poi c’è quella storia delle elezioni comunali di Iglesias che mette in comunicazione la fascia bassa del malaffare con quella alta, con la politica. Una storia che ha convinto la Procura ad aggiungere ai reati di peculato e turbativa d’asta anche quello di voto di scambio. Quel gruppo di potere interno avrebbe contato i voti - alla fine sono stati 343 - che riusciva a portare a un proprio candidato, Marco Zanda, dipendente Igea, nella lista civica Pozzo Sella, di ispirazione Udc. Tuveri, una potenza in Igea secondo la Procura, voleva pesare la propria forza in vista delle regionali.    L’Udc è il cuore politico di tutto. A partire dal suo uomo forte nell’Iglesiente e in tutta l’isola: Giorgio Oppi. E l’amministratore unico di Igea, da lui scelto, il democristiano di lungo corso Giovanni Battista “Bista” Zurru, sulla cresta dell’onda senza interruzioni dagli anni Settanta. Igea è territorio Udc, come è territorio Pdl il Parco Geominerario, il consorzio che dovrebbe orientare prima e gestire poi la bonifica e la trasformazione delle ex miniere in zone ad alta vocazione turistica e culturale. Antonio Granara, assicuratore cagliaritano, ne è il commissario. Nei suoi uffici sono stati sequestrati documenti e computer. Il grande carrozzone    politico e clientelare    Il malaffare politico c’è qualcuno che lo racconta mettendoci la faccia. Prima di tutto Giampiero Pinna. Geologo, presidente comunista dell’Ente minerario sardo fino al suo scioglimento in Igea, da lui voluto con decisione, nel 1999 passò alla politica come consigliere regionale Ds. Oggi è senza partito e coordina la Consulta delle associazioni del parco geominerario. Conosce tutta la storia di questo angolo di mondo. Racconta dei fenici e dei pisani, dei belgi, dei francesi, degli inglesi che investivano nelle miniere del Sulcis-Iglesiente, mentre oggi da queste zone fuggono gli americani di Alcoa, i russi di Eurallumina, i danesi di Rockwool. Ma racconta soprattutto delle sue reiterate denunce. Dei soldi che arrivano copiosi (suo il calcolo dei 300 milioni incassati e spesi da Igea dalla nascita a oggi) e delle bonifiche che non partono. L’ha messo per iscritto all’inizio del 2013. E oggi incalza anche su quel “grande carrozzone politico-clientelare dell’Ati Ifras voluto da Giorgio Oppi e da Mauro Pili”, allora Forza Italia, oggi dissidente del Pdl, che si candida a presidente della Regione con la sua creatura Unidos contro il presidente Ugo Cappellacci. Protetta praticamente da tutti i partiti e dai sindacati, Ifras ha assunto via via i lavoratori socialmente utili come quelli espulsi dalle industrie che chiudevano, ultima la Rockwool, fino a superare i 500 dipendenti. Nata per fare le bonifiche, una sorta di doppione di Igea, ora lavora per i comuni del Parco, facendo vari interventi di manutenzione. Un ammortizzatore sociale per il quale la Regione stanzia soldi senza passare per gare o appalti. Senza capitolati e con giustificazioni di spesa a posteriori. Con utili garantiti, si dice, del 15 per cento.    Anche Roberto Frongia, avvocato, riformatore, per anni alleato di Oppi, alle comunali alleato con il centrosinistra, ha presentato una dettagliata denuncia alla magistratura a nome di associazioni ambientaliste contro le mancate bonifiche e le conseguenze sulla salute. E Tore Cherchi, uomo forte della sinistra, ex presidente della provincia di Carbonia-Iglesias commissariata in vista dell’abolizione, una carriera politica di alto livello dal Pci al Pd, oggi rivendica la bontà dell’idea di Renato Soru di puntare sulla riqualificazione delle ex miniere e alla fine colpisce: “La distorsione politico-partitica è all’origine di molti insuccessi che si verificano in Sardegna”. Ma non farà il presidente del Geoparco, come molti chiedono: “Accetto solo incarichi per i quali sono eletto: non sono mai stato nominato”.    Il nodo del bilancio    e troppe cose non chiare    Il nodo Igea ora si chiama bilancio. La Regione, unico azionista, si era rifiutata di approvare quello del 2012. Troppe cose poco chiare. A partire dal costo del personale, quasi 13 milioni per 259 dipendenti, fino agli 850mila euro di ferie non godute. Per non parlare delle spese per il gasolio. O di storie come quella contenuta in un dossier che sta circolando e che riguarda una bonifica nella miniera di Monteponi, con la quantità di amianto da smaltire che crescerebbe da 75 chili a 8 tonnellate. Con costi che salgono in proporzione. Niente bilancio, niente commesse, niente stipendi. Così alla fine, sotto la pressione operaia, con i pozzi di Monteponi e Campo Pisano simbolicamente occupati, lunedì la Regione ha approvato il bilancio con qualche aggiustamento anche rispetto alle “perdite accertate al 31.12.2012 ammontanti a 7.935.843,70”, segnalate dai suoi stessi tecnici. La “distorsione politico-partitica”, per dirla con Cherchi, ha vinto di nuovo. Certo, gli operai avranno i loro stipendi. Ma il carrozzone andrà avanti trasformandosi in agenzia regionale: per avere ancora meno vincoli.

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