mercoledì 30 ottobre 2013

LA MAFIA A MILANO NON ESISTE

Articoli che vanno dal 2007 al 2011:

La malavita Buccinasco, Assago, Cesano Boscone, Trezzano
Padrini, sequestri e 100 morti Film sulla Gomorra milanese

Gomorra è stata qui. Tra i palazzoni del quartiere Tessera di Cesano Boscone, nell' alveare di cemento che unisce Corsico con Trezzano sul Naviglio, nei cantieri di Buccinasco e Assago. Posti dove certi nomi si pronunciano ancora sottovoce: Papalia, Barbaro, Molluso, Sergi, Ciulla, Fidanzati. Sono i nomi di una guerra civile che ha provocato cento morti. E che adesso un film prova a ricordare. L' ha scritto Donato Pisani, regista della soap-opera «Vivere» e ruota attorno alla vicenda di Augusto Rancilio, figlio di un imprenditore, rapito a Cesano Boscone il 2 ottobre del 1978 e mai più tornato. Parallela a quella di Rancilio, corre un' altra storia, più sconosciuta: è di Nunzio Notaristefano, pugliese di Massafra che negli stessi giorni piantò il seme del rugby e che grazie alla sua tenacia, come un prete di periferia, qualche guaglione riuscì a levarlo dalla
strada, dai guai, dalla ' ndrangheta, la ' ndrangheta che ha vissuto, mangiato, che è ingrassata, che ha riempito le carceri e che adesso ancora pascola, con dettami, riti e proiettili che si tramandano di generazione in generazione, di galera in galera, di eroina in cocaina. C' è la malavita, c' è la delinquenza, nella vita di Enzo, giovane protagonista rugbysta, nipote del boss che tiene in ostaggio Rancilio. Sullo sfondo miseria e soldi facili, palla ovale e manette per una storia che è fiction, ma soltanto per pochi dettagli. Perché la squadra, che oggi milita in serie C e ha quasi 200 iscritti nei settori giovanili, in quegli anni nacque davvero. E davvero tra piloni, ali e trequarti qualche sbarbato con la pistola in tasca Nunzio è riuscito a salvarlo. L' idea del film è partita dal rugby, passionaccia di Donato Pisani, e pure dai racconti (veri e romanzati) di quegli anni del milanese venuto dal Sud, del «terrone» Notaristefano, presidente della squadra di Cesano. «Il rugby è una malattia: te lo porti dietro tutta la vita», dice Pisani, «così come ti porti dietro quei giorni». Il paragone con Gomorra, la pellicola ispirata dal libro di Roberto Saviano, viene da sé. Qui, a differenza di Gomorra, c' è anche il rugby, sport nobile e povero, con le sue regole: «Rispettare l' avversario, non perdersi d' animo, saper perdere». Pisani e i suoi hanno già trovato parte dei finanziamenti, e ora si sta pensando al casting e alla produzione. La trama e la sceneggiatura sono già state apprezzate dall' attore di fiction Alessandro Preziosi e dell' istrione teatrale e autore Marco Paolini. Quanto al set, be' , non potrà che essere in questi posti, tra le colate di cemento della Vigevanese e i tavoli dei bar nei quali, fino alla metà degli anni Novanta, si pianificavano omicidi e rapimenti. Le riprese dovrebbero partire entro l' inverno: «Voglio le atmosfere, voglio il fango, voglio la nebbia». Come in quell' ottobre di 30 anni fa, quando davanti al cantiere di Cesano Boscone i calabresi dei Muià e dei Papalia caricarono su un Fiat ottoecinquanta il 26enne architetto Augusto Rancilio. I suoi carcerieri lo uccisero pochi giorni dopo perché cercò di ribellarsi. Il corpo, non lo restituirono mai. Nessuna tomba, nessuna lapide. Come se niente fosse mai accaduto. Come se oggi quegli anni non fossero mai esistiti, e siano semplicemente stati un film.

LA SITUAZIONE ATTUALE

BUCCINASCO - Intricati intrecci tra aziende, soprattutto edili, che ai vertici portano sempre ai soliti nomi. Una rete di amicizie tra costruttori, politici ed esponenti di spicco della più pericolosa 'ndrangheta calabrese trapiantata a Buccinasco, Cesano Boscone e Corsico, capace di insospettire e preoccupare persino la Direzione distrettuale antimafia di Milano e i carabinieri del Ros.

Più volte, nella relazione consegnata alla stampa da alcuni politici che l'hanno visionata in Provincia, risulta presente l'aggettivo "inquietante". E' questa la parola che viene in mente al procuratore aggiunto Ferdinando Pomarici, della dda milanese, per descrivere la situazione del sudovest milanese sul fronte della criminalità organizzata di stampo mafioso: così come quella di altre realtà lombarde, capoluogo compreso. Un cancro allo stato avanzato che corrode silenzioso il tessuto imprenditoriale e sociale, grazie ad intimidazioni e agganci col 'palazzo'.

ARCHIVIATO IL CASO-BREMBILLA
Tra i nomi più o meno illustri che comparirebbero nella relazione, risulterebbero quelli di politici come Bruna Brembilla, assessore provinciale all'Ambiente nonché presidente del Parco Agricolo Sud Milano, che ha già precisato assieme al presidente Filippo Penati come le indagini a suo carico siano partite "da una segnalazione anonima" (affermazione che sarebbe confermata dalla relazione della dda) e che il gip, su richiesta del pm, avrebbe già archiviato lo scorso 2 dicembre. A Bruna Brembilla è andata la solidarietà del Partito democratico cesanese. E' stato inoltre creato su Facebook il gruppo “Solidarietà a Bruna Brembilla”, che oggi conta 66 membri.

DESTRA E SINISTRA COINVOLTE A CESANO BOSCONE
Tra i nomi 'freschi' compaiono invece quelli di un consigliere comunale dei Verdi attualmente in carica e di uno di Forza Italia non più in carica sempre a Cesano Boscone (città dove Bruna Brembilla ha ricoperto varie cariche sin dal 1980, fino a quella di sindaco per tre mandati, dal 2005) e di un consigliere comunale di Forza Italia a Buccinasco. L'esponente dei Verdi comparirebbe da anni tra gli indagati della Dia di Milano, come "socio occulto" di un costruttore di una famiglia che intratterrebbe rapporti con il gruppo dei Sergi, Barbaro e Papalia della 'ndrangheta calabrese, e dei Fidanzati, Carollo e Ciulla della mafia siciliana. Fitti legami tra imprenditori del sudovest milanese con conoscenze 'altolocate', con le quali risulterebbero in stretto contatto.

"MIGLIAIA DI TELEFONATE"
A dimostrarlo, sempre secondo la relazione, sarebbero le "migliaia di telefonate" intercorse tra politici e quello che viene definito il "dominus" della rete di imprenditori - attivo tra Cesano Boscone, Corsico, Buccinasco e l'Australia - "segno evidente di rapporti che trascendono quelli meramente istituzionali". Rapporti riconducibili anche a Domenico Barbaro detto "L'australiano", uno dei più pericolosi esponenti della 'ndrangheta a livello internazionale, originario di Platì, arrestato a luglio del 2008 nell'ambito dell'operazione "Cerberus" della guardia di finanza, proprio mentre usciva dal carcere dopo aver scontato una pena per rapina. Tra i collegamenti diretti e indiretti dei politici di Cesano Boscone, e in particolare dell'ex esponente di Forza Italia, risulta anche quello con Salvatore Barbaro (divenuto lo spauracchio della giunta di centrosinistra guidata dal sindaco Maurizio Carbonera, a Buccinasco) arrestato a sua volta nel corso di "Cerberus". Barbaro, originario di Locri, è il genero e presunto delfino del capobastone della ndrangheta in Lombardia, Rocco Papalia, condannato all'ergastolo nell'ambito dell'operazione "Nord-Sud".

FORZA ITALIA A BUCCINASCO
Tra le 25 pagine di nomi che sarebbero presenti nella relazione, quello dell'esponente di Forza Italia a Buccinasco compare tra gli ultimi. Viene citato in relazione alle indagini che partono da un fatto di sangue (il ferimento a Milano di un imprenditore vicino ad Antonio Barbaro e Rocco Papalia, "evidentemente reo - riferirebbe la relazione della dda - di comportamenti scorretti nei confronti dell'organizzazione criminale") ma che riguardano anche "un contesto criminale di sicura matrice calabrese - sempre secondo quanto avrebbe scritto Ferdinando Pomarici - composto da soggetti legati ai Barbaro-Papalia, legati ad attività di traffico di sostanze stupefacenti", e un'altra persona sospetta che proprio attraverso il consigliere comunale di Buccinasco avrebbe cercato di "estendere la rete dei propri interessi economici ad attività specializzate in compravendite immobiliari e/o ristrutturazioni edili, talvolta riconducibili anche al settore degli appalti pubblici [...] al fine di realizzare non meglio definite 'operazioni commerciali'" tuttora sotto la lente della dda per presunte "infiltrazioni della criminalità organizzata nei settori della pubblica amministrazione".

"CONDIZIONAMENTO E PRESSIONE"
Operazioni condotte dal sospettato "con evidenti movimenti di pressione e di condizionamento nei confronti degli esponenti della politica locale quali, appunto, anche il consigliere comunale di Buccinasco in questione. Il quale, "pur non entrando a far parte della formale composizione né in qualità di socio né in quella di amministratore" ha costituito negli anni scorsi una società con "un uomo di fiducia" dell'autore delle pressioni, e con un'altra persona che avrebbe "personalmente sollecitato ad assumere il ruolo di amministratore delegato della costituenda società, finalizzata in particolare alla cartolarizzazione del patrimonio immobiliare del Comune di Milano e di alcuni enti previdenziali".

LE SOCIETA' PARTECIPATE
Altro filone dell'indagine condotta da Dia e Ros dal 2000, sempre riferita a politici strettamente legati al sudovest milanese, è quella dei "voti dei calabresi". Un politico li definisce al telefono "gente d'onore", nell'ambito di un discorso relativo "alla possibilità - riferirebbe Pomarici nella relazione - di condizionare l'esito del voto sfruttando la massiccia presenza" di calabresi nella zona. Indagini che entrano come coltelli nel burro dei palazzi della politica locale. Ma anche all'interno di società partecipate dai Comuni, con stretti legami con Regione Lombardia.


*****

Infiltrazioni della 'ndrangheta in Lombardia, un cancro con cui convivere
Di Davide Bortone (del 28/02/2009)

BUCCINASCO - Dal primo luglio 2003 al 30 giugno 2007, risultano iscritti 46 procedimenti penali per il reato 416 bis (Associazione di tipo mafioso). Nonostante l'intensa attività dalla Direzione distrettuale antimafia milanese, "che ha consentito sicuramente di sgominare gran parte delle associazioni mafiose già operanti sul territorio", "si impone particolare cautelanella sua interpretazione, non potendosi certamente affermare la totale eliminazione di siffatto fenomeno criminale, di cui si appalesano invece inquietanti segnali nel campo del cosiddetto 'narcotraffico'".

SETTORI E INTERESSI
Sarebbe altri aspetti che compaiono nel cielo di Milano e della Lombardia nella relazione della dda milanese, consegnata ad alcuni politici in Provincia e poi diffusi alla stampa. "A fronte di 233 complessive proposte di ammissione a programma di protezione avanzate da questa dda dalla sua costituzione - si leggerebbe nel documento - solo 12 risultano presentate nel periodo 2001-2007. Appare evidente la difficoltà degli inquirenti a effettuare nuove indagini sulle organizzazioni criminali in oggetto in assenza di voci provenienti dal loro interno, che diano impulso specifico alle indagini stesse". La 'ndrangheta è una mafia che incute timore tra le mafie operanti in Lombardia, soprattutto per i suoi "collegamenti con potenti cosche calabresi, e in particolare quella di Africo".

UNA MAFIA SILENTE
Ma anche perché gli affiliati alle 'ndrine sono riusciti a "infiltrarsi, mimetizzandosi, nell'ambiente socio economico della zona di insediamento, attraverso condotte e investimenti apparentemente leciti […] nonché avvalendosi della rete protettiva rappresentata da numerosi canali informatici e da supporti operativi acquisiti anche all'interno delle forze di polizia". Le 'ndrine esercitano la loro "forza intimidatoria" nei confronti di chi ostacola i loro "obiettivi programmati", "secondo un criterio non solo 'economico', ma anche strategico in relazione al contesto sociale nel quale i sodalizi hanno inteso radicarsi". Gli affiliati alla 'ndrangheta, in Lombardia, "abbandonano i comportamenti tradizionalmente 'mafiosi' per assumere quelli rassicuranti di lavoratori dipendenti o gestori di apparentemente lecite e avviate attività imprenditoriali".

RADICAMENTO AMBIENTALE
Così si sono guadagnati "un radicamento ambientale ideale per lo svolgimento indisturbato per anni di illecite attività nei campi più disparati". I settori in cui opera la 'ndrangheta sono svariati, ma per la maggior parte gli affiliati si affiderebbero "alla formula delle Società a responsabilità limitata (Srl) o a cooperative con durata anche inferiore ai 4 anni" per portare avanti i loro interessi, liquidandole o facendole fallire. Nell'edilizia lombarda si può trovare i calabresi nel movimento terra, negli scavi, nel trasporto di materiali di scavo, nell'intermediazione tra agenzie immobiliari soprattutto a Monza, Cologno Monzese, Peschiera Borromeo, Cernusco sul Naviglio, e nei Comuni del sud milanese. Nell'ambito degli Alimentari (fornitura di prodotti ortofrutticoli, attività in crescita questa) a Lodi, Pavia e Voghera. Nella ristorazione (bar, self service, pasticcerie e ristoranti) a Milano e in tutto l'hinterland. Gestiscono anche agenzie di sicurezza a Milano, Como e Bergamo, specie in discoteca. I calabresi sono attivi nella logistica (smistamento, facchinaggio, movimentazione merci, servizi di pulizie attraverso cooperative facenti capo alle cosche) a Milano, specie all'ortomercato.

GLI AFFILIATI? SONO INSOSPETTABILI
Tutti settori nei quali le imprese criminali possono godere, in alcuni casi, della presenza di amministrazioni comunali che affidano sempre a loro negli anni gli stessi servizi (manutenzione strade e cimiteri, per esempio) attraverso "il ricorso - riferirebbe la relazione - a procedure illegali: trattative private condotte tramite procedura di urgenza anche nei casi nei quali per la legge non ne sussistono i presupposti; gare di appalto in cui le offerte al ribasso sono conosciute prima della apertura delle relative buste e con partecipazione limitata sempre alle stesse imprese, comunque vincolate a effettuare poi i lavori subappaltandoli alle imprese mafiose oppure acquisendo i macchinari a loro necessari, pena il pagamento di penali alle amministrazioni comunali o, addirittura, 'sanzioni' di natura criminale". Tutte aziende riconducibili alle cosche di origine, come per esempio i Morabito, i Bruzzaniti, e i Palamara di Africo. E' dalle indagini compiute tra il 2000 e il 2007 che la dda comincia ad accorgersi che nelle zone a più alta densità mafiosa (i Comuni di Corsico, Buccinasco, Cesano Boscone, Cologno Monzese eccetera) "le seconde e le terze generazioni delle note famiglie malavitose di natura 'ndranghetistica', sempre più saldamente radicate al territorio, hanno iniziato a gestire e a sfruttare le zone di influenza, stringendo, dal punto di vista istituzionale, alleanze con spregiudicati gruppi politico-affaristici e, dal punto di vista economico, inserendosi nel campo imprenditoriale con illimitate disponibilità economiche".

LOTTA AD OGGI IMPOSSIBILE
Contrastarli, oggi, appare un'impresa napoleonica. "Questo ufficio - riferirebbe nella relazione il procuratore aggiunto Ferdinando Pomarici - ha provveduto a impartire direttive di indagini di più ampio respiro, ricevendo sempre assicurazioni formali ma ottenendo peraltro limitata collaborazione consistente nell'inoltro di informative sui gruppo criminali attualmente operativi sul territorio. Appare opportuno in particolare, se non necessario, procedere a effettuare indagini più approfondite in tema di subappalti a opera di imprese apparentemente regolari, verificando di fatto, tramite controllo non meramente formale, ma da eseguire sul territorio, se i loro intestatari non siano in realtà meri prestanomi di soggetti notoriamente legati ad associazioni di 'ndrangheta. Occorre inoltre effettuare un capillare controllo delle vendite immobiliari avvenute in tempi recenti - proseguirebbe Pomarici - nelle zone di Milano e dell'hinterland già note in quanto soggette a infiltrazione mafiosa, ed effettuare analoghe verifiche di tutte le cessioni di licenze per la gestione di esercizi commerciali.

"ATTENZIONE AI PASSAGGI DI PROPRIETA'"
Occorre infine procedere a un attento monitoraggio di tutti i personaggi, sempre più numerosi, già condannati negli anni Novanta per reati commessi nell'ambito di attività criminali di matrice mafiosa, e ormai scarcerati per espiazione definitiva delle pene inflitte o per fruizione di benefici penitenziari, essendo già stata in più occasioni accertata la ripresa dell'attività criminale a opera dei citati soggetti". A tal fine, sempre secondo quanto di leggerebbe nella relazione della dda, "deve comunque evidenziarsi che la polizia giudiziaria impegnata sul territorio nell'attività di contrasto all'attività criminale di matrice mafiosa, pur dotata di specifica ed elevata capacità professionale, appare numericamente palesemente inadeguata alle numerose esigenze di indagine, tanto che sempre più spesso succede che i magistrati di questa Dda trovino notevoli

*****

LETIZIA MORATTI E IL PREFETTO NON VOGLIONO LA COMMISSIONE ANTIMAFIA A PALAZZO MARINO
Il Prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, napoletano, 63 anni, sposato, un figlio, due lauree conseguite in legge e scienze politiche, non vuole la Commissione antimafia del Consiglio comunale di Milano che vigili sugli appalti dell'Expo. Lombardi ha detto a chiare lettere che è lo Stato a doversi occupare di antimafia e di sicurezza, e non già un Ente locale come il Comune di Milano.

A questa presa di posizione infelice e inopportuna si è schierata ovviamente il Sindaco Letizia Moratti che condivide appieno il Lombardi pensiero. Peccato, però, che la posta in gioco sia enorme. Lo ricordiamo al Prefetto Lombardi che vorrebbe che ad occuparsi di Expo, appalti e ordine pubblico, fosse soltanto la magistratura e lo Stato.

A Milano e provincia ci sono 200 cosche mafiose interessate al business dell'Expo: 20 miliardi di euro per le infrastrutture, 4 miliardi di euro della ex Soge spa, e 45 miliardi di euro di fatturato per le aziende, i costruttori, gli immobiliaristi, i professionisti, i politici e i loro portaborse. La posizione del Prefetto Lombardi da un punto di vista giuridico non fa una grinza, ma la gravissima situazione della criminalità a Milano e in provincia dove è forte la presenza della n'drangheta, della camorra spa, di Cosa nostra e i resti della Sacra corona unita, dovrebbe indurre il Prefetto a non interferire con l'attività del Consiglio Comunale. Che una volta tanto era riuscito a trovare 25 consiglieri comunali della maggioranza e dell'opposizione sui 60 presenti ad occuparsi delle infiltrazioni mafiose, degli appalti per l'Expo 2015.

Non capiamo la posizione del Prefetto Lombardi che non desidera interessi sulla sicurezza che non siano statali. E allora ricordiamo a Lombardi e alla signora Letizia Moratti i nomi dei Comuni interessati alla criminalità organizzata: Trezzano sul Naviglio, Castano Primo, Gaggiano, Buccinasco, Corsico, Cesano Boscone, Bareggio, Cornaredo, Inveruno, Cuggiono, Bollate, Novate Milanese, Opera, e Pioltello.

Ora passiamo alle famiglie che controllano tali Comuni: Barbaro, Papalia, Palamara, Bruzzaniti, Italia, Maione, Manno, Mangeruca, Musitano, Mandatari, Rispoli, Novella, Mancuso, Sgambellone, Callipari, ecc. Poi ci sono i loro referenti in Borsa, nella Finanziarie, negli Ordini Professionali, in Parlamento e negli Enti locali. Tutti interessati al business miliardario dell'Expo.
E il Prefetto Lombardi viene a dirci: ce ne occupiamo noi. No, dottor Lombardi: Milano contro la grossa criminalità non ha mai fatto nulla. Non ricordiamo da tempo operazioni contro le mafie. Si, c'è la DIA, la DDA, ci sono i Carabinieri, la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza che quotidianamente si attivano. Cosi come a Palazzo di Giustizia sappiamo di magistrati impegnati su questo versante. Ma Questura e Prefettura sono anni che non ci consegnano i latitanti di Cosa Nostra, i loro referenti sul territorio, i loro professionisti; Prefettura e Questura non ci consegnano da anni i boss nascosti in provincia di Milano della n'drangheta, e cosi quelli della Camorra e della Sacra corona unita.
Ci sono decine di ristoranti, di pizzerie, di negozi, di finanziarie che sono riconducibili alla mafia. Ma a Milano nessuno sa niente, vede niente e se sa qualcosa tace. Il generale Dalla Chiesa prima di morire indagava sui conti correnti bancari dei mafiosi, il segretario del PCI siciliano La Torre fece una legge per confiscare i beni dei mafiosi e fu ucciso come un cane. Perché a Milano nessuno fa indagini di tipo economico per individuare mafiosi e loro referenti?

Ritorniamo ora alla Commissione antimafia del Consiglio Comunale di Milano. La Moratti dovrebbe avere un ruolo super partes, ma invece si schiera col Prefetto. Perchè? Di che cosa ha paura la signora Moratti? Che i consiglieri comunali vedano gli appalti, i nomi dei costruttori, degli immobiliaristi, e dei soliti professionisti? Questa è una ragione di più perché la Commissione antimafia si costituisca al più presto. Se poi il Sindaco e il Prefetto sono contrari la loro posizione non è determinante.
Milano conoscerà finalmente chi contrasta la mafia e chi adducendo motivazioni giuridiche di fatto fa ostruzionismo a coloro che vogliono la trasparenza e la legalità. Tutte le forze democratiche in Consiglio Comunale si attivino per dare un segnale forte alle persone vogliono il bene di Milano e della sua provincia in mano a 200 cosche di tutte le varie mafie.

Alberto Giannino - a_gi@live.it

*****

Expo 2015: le mani della 'ndrangheta sulla città
Che la ‘ndrangheta fosse la forma di federalismo meglio riuscita, lo scrive anche il Sole24Ore: che avesse le sue manacce anche sull’Expo, ve lo dicevamo da mesi, oggi il quotidiano di Confindustria scrive qualcosa di curioso a riguardo delle infiltrazioni criminali per gli appalti dell’esposizione internazionale:

Se la politica cerca di riempire di contenuti il federalismo, la ‘ndrangheta lo ha già fatto. Ha deciso che Milano è la nuova capitale dell’Italia criminale federata e in vista di Expo 2015 ha anche scelto di rinforzare l’asse con una città ponte verso i ricchi traffici, italiani ed europei, del Nord-Est: Brescia. Come sempre, le cosche sono avanti, più avanti di chi dovrebbe sconfiggerle

Milano sud - un tempo, ora le ‘ndrine sono ovunque - e dintorni sono fin dagli anni 70 territorio di cosche, pensate solo a Buccinasco, di cui parlavamo giusto l’altro giorno per via della probabile elezione di Tiziana Maiolo a sindaco di Rozzano

È un monopolio quasi assoluto che non si limita ai subappalti di Buccinasco, ma si estende a più o meno tutti i comuni dell’hinterland milanese. Vuoi costruire a Corsico, a Cesano Boscone, a Trezzano? Le buche te le fanno le imprese legate a Pasquale Papalia, figlio del boss detenuto al 41 bis Antonio, o quelle vicine a Salvatore Barbaro che hanno sede legale a Platì, ma uffici anche a Buccinasco, in via Don Minzoni 11

E se volessimo fare quattro salti in discoteca, oltre ad allargare le mura domestiche o a scavare qualche buca?
Finora nelle maglie della giustizia ne sono incappati solo due, molto alla moda, e un club privé: il “Madison”, nella zona di viale Certosa, il “Café solaire” all’Idroscalo, a due passi dall’aeroporto di Linate, più “Le Monde” di via Mac Mahon, dove lo scambio delle coppie, avveniva sotto gli occhi dei gestori cosentini, Palmerino Sigillo e Vincenzo Faldetta, arrestati per droga nel 2006 dal gip Paolo Ielo.

Per contrastare tutto questo - ovvero un dominio pluridecennale, incontrastato, delle cosche calabresi in Lombardia - oltre alla magistratura, c’è la Commissione di cui scrivevamo alcuni giorni fa. Forse un pò pochino, che dite?

*****

LE MANI DELLA MAFIA SULL'EXPO
- http://www.youtube.com/watch?v=MhYTpNqLq1k
- http://www.youtube.com/watch?v=alJJ6AAclWk
- http://www.youtube.com/watch?v=yq83XA6-mcg
- http://www.youtube.com/watch?v=27-6ml1DOiM


*****

'NDRANGHETA: DNA, SU EXPO 2015 INTERESSI SUPERIORI A PONTE
Nell'analisi della Direzione nazionale antimafia sull'espansione della 'ndrangheta in Lombardia c'e' un punto che preoccupa piu' di tutti: l'Expo 2015. Gli investimenti in opere pubbliche, i conseguenti interventi finanziari e gli investimenti immobiliari mettono in moto interessi ''maggiori persino ipotizzabili dalla realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina''.

La relazione della Dna, del dicembre 2008, su questo aspetto (ripreso oggi dal 'Sole 24 ore') ha amplificato le preoccupazioni del sostituto della Dna Enzo Macri', il quale gia' il 14 giugno dell'anno scorso nel corso della presentazione del libro dell'allora presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione, a Tiriolo (Catanzaro), disse esplicitamente ''la vera capitale della 'ndrangheta e' Milano''.

Oggi la relazione finale della Dna su questo specifico punto e' ancor piu' netta:''L'affermazione che Milano sia la capitale della 'ndrangheta quanto meno sotto il profilo economico finanziario non deve destare stupore ne' dare scandalo quasi che si fosse con tale definizione imbrattato un territorio immune da questo tipo di contaminazioni''.

Proprio ieri e' stata decapitata la terza generazione di storiche famiglie della 'ndrangheta calabrese attive in Lombardia con l'operazione 'Isola', coordinata dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Monza e dalla Compagnia Carabinieri di Sesto San Giovanni, che ha portato a 20 arresti, di cui nove per associazione mafiosa. I reati più gravi contestati sono associazione per delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto illegale di armi, tentato omicidio, estorsione.

L'indagine era stata avviata oltre due anni fa nei confronti di una presunta associazione di tipo 'ndranghetistico, secondo l'accusa, radicata a Cologno Monzese. Le indagini hanno oggi portato al sequestro di armi (4 pistole ma da intercettazioni telefoniche è noto che l'organizzazione aveva a disposizione anche otto mitragliette leggere e un lanciarazzi) e denaro (100mila euro in banconote di grosso taglio). Ed è stato disposto il sequestro di beni mobili ed immobili e di attività imprenditoriali per un valore di oltre 10 milioni di euro. Nel corso dell'operazione sono stati inoltre compiute 18 perquisizioni a carico di altri indagati a vario titolo coinvolti nell'indagine, in domicili e sedi di imprese in provincia di Milano, Como, La Spezia, Bergamo ed Alessandria. Secondo quanto riferito dal colonnello Giuseppe Spina, comandante del Gruppo Carabinieri di Monza, le indagini sono partite dopo che nella notte tra il 3 e il 4 ottobre scorso, colpi di arma da fuoco vennero esplosi a Cologno Monzese contro l'abitazione e la Mercedes di Marcello Paparo, imprenditore nato a Crotone 45 anni fa e ritenuto il capo in Lombardia di un'organizzazione a cui facevano riferimento le 'ndrine Barbaro, Nicoscia, Bubbo e Arena, che in Calabria, e soprattutto a Isola Capo Rizzuto, si sono contese il territorio con decine di omicidi. Nel monzese, ha sottolineato il pm Venditti, le cosche Nicoscia e Arena ''vanno invece a braccetto per realizzare affari: infiltrazione negli appalti e gestione di imprese". La loro influenza si manifesta anche nei rapporti interni delle aziende che non si risolvono in contenziosi davanti al giudice del lavoro, ma con minacce. Due sono infatti gli episodi di tentato omicidio. Hanno riguardato il sindacalista Nicola Padulano, vittima di una spedizione punitiva il 15 settembre 2006 a Segrate, che gli procurò una frattura cranica, e l'impiegato di banca Roberto Rigola, ferito il 10 maggio 2007 a Melzo con un colpo di pistola al gomito solo perché scambiato con il suo vicino di casa e proprietario di un'auto simile, Giovanni Apollonio, vice presidente della cooperativa 'Rad', che era stata chiamata dall'Esselunga per lavori sul polo logistico di Viandrate. La sua colpa? Non aver ceduto a pressioni economiche di chi voleva acquisire la sua cooperativa indipendente. Paparo con il suo consorzio 'Ytaka', a cui si riconducono sei cooperative (P&P, Quality Log, Immobiliare Caterina, Work in Progress, Innovazione, La Logistica) era attivo soprattutto nel settore della logistica (facchinaggio, pulizie, piccoli trasporti, etc), dove cercava anche con la violenza - così è stato detto - di acquisire altre cooperative. E nel movimento di terra, settore libero da vincoli antimafia quando i contratti d'appalto non superano il 2%, che veniva gestito centralmente e i servizi imposti alle aziende che potevano averne bisogno. E' in questo ambito che la 'P&P' ha cercato di inserirsi in modo illecito, nel subappalto della Locatelli nei lavori per la tratta della Tav tra Pioltello - Pozzuolo Martesana.

*****

Se non fosse una situazione tragica verrebbe quasi da ridere. Sì, ridere. Perchè per anni, decenni, abbiamo sempre vissuto la mafia come qualcosa di distante, una roba che da polentoni abbiamo sembre relegato alla terronia.

Razzismo inconsapevole, razzismo consapevole, stravolgimento della realtà, da struzzi del nord ci siamo nascosti dietro ad una semplice regoletta: sotto casa mia nessuno è mai passato a volto coperto, in sella ad una moto, per un regolamento di conti. Qui non si spara, vè, mai visto un agguato notturno. Sì, ci sarà pure la criminalità, ma di tutt'altro genere. Sono fortunato io, che vivo qui al nord.

Ed è vero, le mafie qui al nord non vivono di regolamenti di conti, ma la loro sopravvivenza economica è garantita proprio dalla loro "nuova" posizione geografica: altro che sud, gli affari si fanno qui. E' da noi che la brava gente, tutti i giorni, fa affari con la malavita. Senza farsi troppi problemi, nascondendosi dietro alla solita scusa: in Italia funziona così, e poi non è che sia proprio mafia, sono solo affari un po' sporchi. Il fatto di non trattare con una pistola in mano ma con una elegante valigetta di pelle rende tutto più semplice e pulito

Imprenditori, politici, costruttori, semplici lavoratori che tutti i giorni scendono a compromessi. Milano è la capitale della 'ndrangheta, la Lombardia è territorio dei loro affari. Le mafie, in giacca e cravatta, sono qui da noi. L'Expo sarà il loro nuovo Eden.

Allora, per rendere più chiara questa veloce introduzione, riportiamo l'interessante articolo di Davide Carlucci per Repubblica. Da leggere tutto d'un fiato.

Milano capitale della ‘ndrangheta. Luogo dove l´organizzazione criminale calabrese sta realizzando la sua nuova strategia: cooperare con tutte le altre mafie, sia italiane che straniere, per mettere le mani su due grandi business, narcotraffico e opere pubbliche. A cominciare dall´Expo 2015. Ma senza trascurare le infrastrutture e l´Alta velocità. È il quadro che emerge dall´ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, firmata da Vincenzo Macrì e inviata al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.

I magistrati sono preoccupati per gli appetiti delle ‘ndrine sulla futura esposizione universale, che scatena «interessi maggiori di quelli ipotizzabili per il ponte sullo stretto di Messina». E aggiungono: «Gli esperti sanno bene che prospettive di tale portata comportano anche un riassetto, un riposizionamento organizzativo delle cosche sul territorio». E temono che il radicamento delle famiglie, collegate con la madrepatria ma ormai autonome, «incida sostanzialmente sul tessuto sociale».

Aggiungono: «Grave sarebbe se si determinasse una sorta di assuefazione», anticamera della «convivenza col fenomeno mafioso». Scrive infine Roberto Pennisi, procuratore antimafia: «La penetrazione sembra accentuarsi, favorita da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici e finanziari ad avvalersi dei rapporti che s´instaurano con l´ambiente criminale. Soprattutto nei settori delle opere pubbliche, dell´edilizia, dei mercati e della circolazione del denaro».

Sono i settori ideali per riciclare il denaro della droga. Varie indagini «segnalano l´evidente ritorno sulla scena del narcotraffico di rilevo internazionale». Boss calabresi e siciliani, che operano «in sinergia con narcotrafficanti stranieri». Ma non è solo Cosa nostra a dare una mano alla ‘ndrangheta. Collaborano anche le organizzazioni balcaniche (albanesi e serbo-montenegrine) e nordafricane. È vero che «stanno monopolizzando le fasi intermedie ed esecutive» del commercio di droga. Ma a coordinare i loro movimenti sono le famiglie calabresi. Gli emergenti, ora, sono i serbi, coinvolti dalle ‘ndrine in operazioni che transitano dal Sudamerica, dai Balcani, dalla Polonia (come dimostra un´indagine del pm Marcello Musso). Il risultato è che Milano è al secondo posto in Italia per numero di persone indagate per droga: sono 1247 contro le 1440 di Napoli.

Un allarme che si accompagna a quello per la penetrazione della mafia russa in Lombardia, che sta investendo nel commercio all´ingrosso e nell´acquisto di immobili di lusso. Anche con loro tratta la ‘ndrangheta, che ha visto recentemente due dei suoi boss più rappresentativi - Paolo Sergi e Antonio Piromalli - finire in manette proprio a Milano.

La capitale finanziaria d´Italia, ovviamente, è anche il luogo principe del riciclaggio, come ha dimostrato, ad esempio, l´inchiesta del pm Mario Venditti sui rapporti tra il clan Ferrazzo e l´avvocato milanese Giuseppe Melzi. Ma attenzione: non c´è solo la city. Anche le comunità straniere hanno imparato a riciclare il loro denaro attraverso circuiti bancari informali. È il caso delle organizzazioni nordafricane: i magistrati della Dna temono se ne servano per finanziare il terrorismo islamico.

Ma esistono anche banche clandestine cinesi, operazioni finanziarie sospette di gruppi albanesi, e sudamericani che riciclano attraverso i money transfer i proventi della cocaina. Una di queste agenzie, come ha dimostrato un´indagine del pm Margherita Taddei, era in grado di movimentare cifre pazzesche: oltre 400 milioni di euro in tre anni. «Ne è emerso un quadro estremamente allarmante circa la funzionalizzazione del meccanismo del money transfer all´agevolazione dei traffici illeciti», scrivono i magistrati.

*****

Pax mafiosa e soldi a palate in Brianza Ecco l'impero del boss dei Paparo

18 Marzo 2009
GLI INQUIRENTI lo hanno detto e lo hanno ripetuto, dai magistrati della Direzione distrettuale Antimafia ai carabinieri di Monza, che hanno indagato ed eseguito buona parte degli arresti: ci troviamo di fronte a una ’ndrangheta di terza generazione. Una generazione che ha deciso di smetterla di sparare (mica sempre) e di seppellire l’ascia di guerra in nome del dio-denaro.

Questo emerge dall’operazione Isola, che ha portato in cella domenica notte venti persone affiliate alla ’ndrangheta che avevano messo le mani sugli appalti del Milanese, dalla quarta corsia dell’autostrada A4 alla Tav a un nugolo di cantieri. Non si spiegherebbe altrimenti come clan storicamente rivali, capaci di insanguinare per anni a suon di omicidi il Crotonese, fossero diventati alleati in Lombardia, fra Brianza e soprattutto hinterland milanese.

Gli Arena e i Nicoscia, e in mezzo, a fare da pacieri in nome degli affari, il gruppo emergente dei Paparo. Questo lo scenario tratteggiato nelle 408 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, Caterina Interlandi. Gli Arena di Isola Capo Rizzuto, nella provincia crotonese, sono noti alle pagine giudiziarie sin dagli anni ’60, ma è sul finire degli anni ’90 che cominciano a perdere terreno, in Calabria, a favore di quello che sino ad allora era stato soltanto un clan affiliato: il clan Nicoscia. I Nicoscia inizialmente sono il braccio armato dei potentissimi Arena, e il loro capo indiscusso e sanguinario risponde al nome di Pasquale Nicoscia. Quando però i vertici della ’ndrina Arena finiscono in carcere uno dopo l’altro sotto i colpi delle forze dell’ordine, Pasquale Nicoscia completa la sua scalata, forte anche dell’investitura da parte dell’ultimo capo bastone del clan egemone, Nicola Arena, ritiratosi dalla reggenza dopo essere stato condannato all’ergastolo. È proprio questa nomina a scatenare i primi dissidi fra le due famiglie, soprattutto dopo che Francesco Arena, appena uscito di prigione, decide di autonominarsi anche lui capobastone della famiglia.

Dopo una pace iniziale, la situazione degenera e iniziano gli omicidi: è la guerra, cui partecipano anche altre famiglie minori affiliate a questa o quella fazione. Un’escalation di sangue eccezionale, che si interrompe soltanto nel 2006, con un summit fra i vertici delle due famiglie rivali, ma che riprenderà successivamente in maniera saltuaria.

È A QUESTO PUNTO che vale la pena cominciare a parlare dei Paparo. Vicini storicamente ai Nicoscia, si ritagliano dopo il 2000 un ruolo di primo piano, nel Milanese: tutto merito di Marcello Paparo, ritenuto indiscusso capo di un sodalizio criminale capace di restare sempre in collegamento con i vecchi sodali del clan Nicoscia, e di avere buoni rapporti con le altre famiglie, dai Barbaro ai Giordano, Perre, Bubbo. E, soprattutto, di mantenere un rapporto di pacifica vicinanza pure con gli storici rivali dei Niscioscia: gli Arena. Un percorso difficile, sempre in bilico, tanto che Paparo ha almeno tre collaboratori fissi il cui compito principale è quello di intrattenere rapporti d’affari pacifici con le ’ndrine i cui interessi rischiano di entrare pericolosamente in contrasto. L’importante, si diceva, è il denaro e il gruppo Paparo dimostra di saperlo fare, e molto bene: società e cooperative operanti in svariati settori, gestione di commesse nel ramo della prestazione di manodopera conto terzi (cooperative di facchinaggio), trasporto conto terzi (movimento terra), compravendita immobiliare. Appalti e commesse a pioggia, ottenuti e distribuiti alle volte con la violenza, spesso con il semplice passaparola: basta sapere chi comanda, e anche l’imprenditore più sprovveduto sceglie sempre dannatamente bene a chi affidare i cantieri. Non a caso, nel gergo della ’ndrangheta, i «suoi» lo definiscono un «capo chianante», un capo emergente.

ALLE VOLTE rimanere in piedi senza scivolare costa fatica e nei frangenti più difficili le invidie possono diventare pericolose, come dimostra un attentato a colpi di arma da fuoco di cui Marcello Paparo è vittima nel 2004 (ma era solo un’intimidazione), e che lo spinge a un viaggio a Isola di Capo Rizzuto per chiarire la propria posizione, vista la sua appariscente vicinanza a entrambe le famiglie in guerra. Si scoprirà soltanto più tardi che ad armare l’atto intimidatorio ai suoi danni era stata invece una contrapposizione interna al suo stesso clan di riferimento, i Niscioscia, visto che Carmelo La Porta, uomo di collegamento con il clan, lo voleva richiamare a un rispetto più puntuale delle leggi di solidarietà che governano il clan dopo che Paparo si è arricchito così bene nella zona di Cologno Monzese, di cui è ormai ras incontrastato. Ma alla fine, dopo ogni colpo di mitraglietta, la pace è pronta.

*****
Ecco la Gomorra milanese
Le intercettazioni pubblicate dal Corriere della Sera

MILANO — È nello specchietto retrovisore che l'autista del Tir scorge una scia di fumo che si sta sprigionando dalla sua cisterna di rifiuti in finta regola. Autista: «Ma c'è una balla che fuma qua...! Vieni qua a vedere dove sto caricando le balle... », urla al telefono al padrone della ditta di trasporti, che prova a tranquillizzarlo. Trasportatore: «Eh, mi è inutile veni' a guardare, già lo so...». Autista: «Io non la carico!». Trasportatore: «Mettila da parte... e dopo glielo dici pure, ma intanto arriva sempre 'sta roba...». Passa un'ora, e la scena si ripete con altro carico e altro autista. Autista: «Oh, io ho parcheggiato anch'io, minchia, è in bollizione ( il camion, ndr), ho fatto un po' di quelle cisterne...». E stavolta il trasportatore è meno baldanzoso. Forse perché è piegato in due. Trasportatore: «Mi fa male lo stomaco a stare là fuori..., sono andato a prendere un po' di latte da quanto mi faceva male...».

L'unico allegro è l'imprenditore che tira le fila del traffico di rifiuti. Imprenditore: «Sto in piena forma, sto prendendo dei lavori abbastanza paurosi!... sto facendo dei lavori megagalattici! Dì agli autisti di stare zitti, eh! perché se si rompe il giro, addio! Entrano ( i rifiuti, ndr) a 215 e vanno fuori a 185... guadagnamo un 30 lire al chilo... Van pesati, chiusi i formulari d'entrata... messi i formulari d'uscita e via andare... se riusciamo è un bel giro! Ci rimangono 30 lire pulite... sono 4mila quintali al giorno... sono 12 milioni al giorno... ».

Benvenuti a Gomorra quattro anni prima di Gomorra, del libro, del film. Senza la camorra. E non nell'ambientazione campana, ma sul set dell'operosa Lombardia del 2003. Sono 1.500 le intercettazioni dei carabinieri del Noe alla base di una sentenza di primo grado relativa a un traffico di rifiuti dal Sud al Nord e di nuovo al Sud, che in Tribunale a Milano su richiesta del pm Fabio Napoleone ha condannato 18 imputati a 42 anni di reclusione e a risarcire Regione e Comuni (oltre che il Wwf) dei territori e delle popolazioni danneggiate: e le 250 pagine di motivazioni mostrano come talune inchieste giudiziarie anticipassero anche al Nord consapevolezze ora finalmente irrobustite da ricerche, film e saggi (come di recente l'originale «Dio non volta le spalle a Napoli» di Francesco Anfossi, Paoline).

A risentirla ora, il traffico illecito stava già tutto nell'intercettazione in cui due imprenditori festeggiavano alle 7 di mattina del 7 maggio 2003 l'affacciarsi di una emergenza-rifiuti a Napoli. E assaporavano già, più ancora, le opportunità offerte dal dopo-emergenza. Primo imprenditore: «È partita l'emergenza a Napoli, lo sai eh?... è partita l'emergenza urbani...». Secondo imprenditore: «E tu puoi prendere qualcosa?». Primo imprenditore: «Giù non faccio più niente...perché finché c'è l'emergenza son tutti bravi...». Secondo imprenditore, ridendo: «Poi arriva il dopo emergenza...». Infatti. Quando l'impianto campano di Giffoni Valle Piana a Salerno non ce la fa più, la struttura commissariale comincia a smistarli a società accreditate. Come una di Bologna. Dove però non vengono smaltiti per la semplice ragione — spiega la sentenza — che «non venivano neppure scaricati ma rimanevano sui camion e ripartivano subito, attraverso un mero giro bolla cartolare, con lo stesso codice con cui erano giunti ma con diversa causale», alla volta di ditte, di siti di stoccaggio, a volte persino di semplici buche, in Lombardia e Piemonte. Fagnano Olona (Varese), Fino Mornasco (Como), Rho e Assago (Milano), Filago (Bergamo), Villastellone (Torino), Fossano (Cuneo) sono alcune delle tappe di questo giro d'Italia dei rifiuti dal Sud al Nord e dal Nord al Sud, di nuovo in Campania e soprattutto in Puglia.

E quando si tratta di rifiuti pericolosi? Basta «un fantomatico trattamento senza alcuna modifica» e con «assoluta leggerezza di trasporto », evidenzia il giudice estensore Pietro Caccialanza (stessa terna del processo Mills formata con Nicoletta Gandus e Loretta Dorigo): dietro «un meticoloso adeguamento di pesi, tare, orari di uscita e di arrivo dei camion, per far sembrare candidamente vero quello che è spudoratamente falso», c'erano «sempre gli stessi rifiuti, che pericolosi erano e pericolosi restano, passati di mano in mano per lucroso tornaconto». Le incredibili scene captate dalle intercettazioni vengono confermate dalle deposizioni dei testi. Come l'autista che aveva visto «bollire» i rifiuti sul suo Tir. Primo autista: «Ricordo un viaggio con questi bidoncini a luglio... si era come innescato un principio di incendio, gli ho dovuto gettare dell'acqua perché dai bidoni si levava del fumo». Secondo autista: «L'imprenditore ci diceva di completare i camion, se ci stava un altro po' di roba, perché lui pagava il viaggio. Se il camion arrivava con 150 quintali, lui diceva di cercare di portarlo a 200, ci metteva un altro po' di roba... e faceva tutto il giro dell'Italia... Napoli-Taranto sono 400 chilometri, e invece attraversavano l'Italia! Io l'ho pure chiesto il perché, ma purtroppo, quando uno ha famiglia, deve stare pure zitto...».

Il giro è talmente smaccato e pericoloso che, ogni tanto, uno dei protagonisti si preoccupa. Come lo smaltitore che si giustifica con l'organizzatore del traffico per avergli fermato alcune cisterne. Smaltitore: «Ascolti... c'erano delle cisternette da fare... quelle sporche... il discorso è che 'sto carico è intrattabile... Ho dovuto bloccare perché tutto il rione è una puzza di insetticida... una puzza da morire... e ho dovuto sospendere... con quella puzza c'è stato qua i carabinieri, i vigili del fuoco e l'Arpa fino a mezzanotte... ». E, per quanto tutti straguadagnino con il traffico illecito, c'è chi teme di esagerare. Come il trasportatore che un giorno sbotta con chi gli manda i carichi di rifiuti. Trasportatore: «Hai fatto bene a non venire, se no ti prendevo a calci nel c... Quel materiale che m'hai mandato è una schifezza assurda, è troppo sporco... puzza di pattumiera che fa paura. Vuoi mi chiudano l'impianto per queste cose qua? Non mandarmi più questo materiale per ora!».


*****

Articolo tratto dall'Unità, di Gianni Barbacetto - 9 ottobre 2008
I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia Moratti lavora e prepara l’Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo li hanno fatti nell’hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi.

Comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei partiti.
«Milano è la vera capitale della ’Ndrangheta», assicura uno che se ne intende, il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non crede, non vede, non sente.
Quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha rifiutato, finora, di creare una commi
ssione di controllo sugli appalti dell’Expo. Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate.

Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano, presidente della Zincar, società partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri, riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza Italia, presidente dell’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare di Varese. E Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all’edilizia di Somma Lombardo, che il 14 aprile 2008 è eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell’assemblea provinciale. Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese.

Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì 2), che non trova niente di strano nell’ammettere che riceveva in municipio, il figlio del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l’Australiano, aveva cominciato la carriera negli anni 70 con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po’, hanno studiato, sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia, movimento terra. Ma hanno alle spalle la ’ndrina del padre. Cercano di non usare più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso debbano servire. Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo.

Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia, Salvatore Morabito, classe 1968, affari all’Ortomercato e night club («For a King») aperto dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore dell’«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce. Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un’operazione antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati.

Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l’accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui un’avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per «aggiustare» in Cassazione un processo ai Guida.

Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell’Utri, inventore di Forza Italia e senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con la ’Ndrangheta: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell’Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel settore ortofrutticolo con sede dell’azienda all’Ortomercato di Milano. Sentiva il fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di ritorno da un viaggio d’affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio.

Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che la cronaca, nerissima, della regione più ricca d’Italia metta in fila scene degne di Gomorra?
A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell’ufficio tecnico del Comune è stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l’ufficio dell’anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una bottiglia molotov aveva incendiato l’auto del dirigente dell’ufficio tecnico di un Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno, paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d’anni prima era stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto.
L’ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15 luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di pistola in pieno viso.

Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua.

*****
Intervista radio di Giulio Cavalli sulla mafia al nord
http://invisibile.podomatic.com/entry/2009-04-15T12_54_44-07_00

CESANO BOSCONE - "Ha trovato qualcosa stamattina? So che lei tiene alla sua famiglia. Prepari 150 mila euro". Alla Lombarda Flor di via De Nicola 20, zona periferica di Cesano Boscone, estremo confine con Corsico, ne hanno ricevute diverse di telefonate come queste. La prima faceva seguito al rinvenimento di una tanica di plastica contenente tre litri di benzina.

Era appoggiata a terra, all'ingresso della ditta. Accanto a un mazzo di garofani rossi. Un'intimidazione in piena regola. Vincenzo Caputo, 49enne titolare dell'azienda, non ha mai pagato i 150 mila euro che gli venivano chiesti. Non pagò neppure suo zio, che ricevette altri avvertimenti. Sempre al telefono. Sempre dalla stessa voce. "Avvisi i suoi parenti di pagare quanto richiesto, altrimenti anche i suoi famigliari rischiano la vita. Se non paga vi bruciamo il magazzino, vi ammazziamo tutti". E ancora: "Digli all'infame di tuo nipote di preparare i soldi. Ascolta, tu da questo momento sei pure coinvolto. Stai tranquillo. Volete vedere il funerale? Prima o poi pagate, perché per pagare dovete pagare sempre. Stai tranquillo, digli a quell'infame che prepari i soldi".

L'UOMO DI COSA NOSTRA PARLA
Chili di cocaina sequestrati dalle forze dell'ordineDall'altra parte della cornetta c'è Angelo Chianello, condannato nel luglio 2007 a 20 mesi di reclusione. Solo la punta di un iceberg che affonda in un terreno sempre più marcio: quello del sudovest milanese. Dove la 'ndrangheta, all'occorrenza, fa affari con altre organizzazioni criminali di spicco. Non ultima Cosa Nostra. I tentativi di estorsione ai danni della Lombarda Flor, consumati tra il 26 maggio e il 6 giugno 2006, sono infatti riconducibili a Luigi Bonanno, palermitano di 66 anni residente a Cesano Boscone, attualmente dietro le sbarre. Un uomo d'onore del clan Lo Piccolo. Secondo Chianello, divenuto collaboratore di giustizia, fu lui a organizzare l'estorsione ai danni dell'azienda di via De Nicola. Chianello, esecutore materiale, fu aiutato da Nicola di Palo, 42 anni, residente a Trezzano sul Naviglio, altro detenuto. Il mandante fu Ugo Martello, 69enne che abita a Milano, indagato a piede libero nel processo scaturito dagli arresti compiuti sul finire del mese scorso dalla Squadra Mobile di Milano, guidata da Francesco Messina.

SUDOVEST SEMPRE PIU' INQUINATO
Arresti che confermano riga dopo riga gli allarmi lanciati da Ferdinando Pomarici nell'ultima relazione della Dda meneghina: il sudovest milanese è terra di conquista delle organizzazioni criminali, che si accordano tra loro per concludere affari. Accanto ai soliti nomi della mafia calabrese, qui, compaiono infatti quelli dei Fidanzati e dei Carollo e Ciulla della mafia siciliana. Si parla di mercato della droga, soprattutto. "Luigi Bonanno - dichiara in esclusiva a GiornaleLibero.com Francesco Messina, capo della Squadra Mobile di Milano - è sicuramente un personaggio che ha intrattenuto rapporti per la fornitura di stupefacenti con soggetti assolutamente inseriti nelle associazioni 'ndranghetiste". Si tratta, in particolare, di un esponente della 'ndrangheta vicino alla cosca Barbaro-Papalia, attualmente detenuto. "L'ambito di riferimento è Buccinasco", riferisce appunto Francesco Messina. Adesso anche la Squadra Mobile parla della cittadina alle porte di Milano dove tutto sembra tranquillo.

RISPUNTA BUCCINASCO
"Il problema è un altro - dichiara Messina -. Le modalità operative delle organizzazioni criminali strutturate, al nord, sono assolutamente diverse dalle modalità operative che vengono adottate da questa gente nei territori di provenienza. Ovvio che l'attività di sommersione può sfuggire alla comunità. A rigori potrebbe trarre in inganno anche un sindaco, perché altrimenti ci sarebbe da pensar male. Ma io ritengo sempre che bisogna partire dalla buonafede".

"Il dato oggettivo che riscontriamo sulla base dell'attività delle forze dell'ordine - aggiunge il capo della Squadra Mobile - è che sono territori, quelli della zona sud occidentale di Milano, dove si sono trasferite comunità di soggetti provenienti soprattutto da Platì, all'interno delle quali c'è una presenza delinquenziale elevatissima. Lo dimostrano i numerosi esponenti di spicco arresati. Ma c'è il rischio che il loro atteggiamento sommerso possa indurre in errore sul problema della loro capacità offensiva: non ricorrono a omicidi con facilità, non ritengono di manifestare il loro potere militare come in meridione. Adottano invece un atteggiamento sommerso. Ma abbiamo elementi - continua Messina - per dire che queste persone ci sono. Sono vive e vegete e noi stiamo operando per contrastarle". Ieri come ora.

LE ELEZIONI A CESANO BOSCONE
Il quartiere Tessera di Cesano Boscone"Anche oggi - commenta infatti Messina - non c'è dubbio che ci sia fermento nella zona. La 'ndrangheta non si ferma. E' una sorta di sottocultura. Quelli che per noi sono disvalori, per loro sono valori. E' chiaro che il tessuto economico e sociale è fondamentalmente sano. Non hanno la capacità di infiltrarsi e distruggerlo come hanno fatto in meridione. Ma i tentativi affinché questo avvenga sono continui". Un elemento di sicuro interesse per la 'ndrangheta, nel sudovest milanese, sono le elezioni. E nel sudovest milanese si andrà al voto, per esempio, a Cesano Boscone.

"Tendenzialmente - dichiara Messina - bisogna tenere sempre alta la guardia. Le organizzazioni criminali strutturate si differenziano dalle altre perché non solo ricercano il profitto, ma anche il potere. Si tratta di associazioni parassite. Non sono l'antistato, ma tendono a entrare nelle istituzioni. E Cesano Boscone è una realtà che merita grande attenzione, sulla quale è in corso una grande attenzione investigativa, dal momento che sappiamo che lì si sono queste presenze".

Due le modalità con le quali potrebbe muoversi (se non l'ha già fatto) la 'ndrangheta: "Avvicinare un politico - spiega Messina - o piazzare direttamente propri uomini, ai quali si riesca a concedere un bel pacchetto elettorale. La possibilità di spostare voti risulta determinante. Per questo la nostra attività di intelligence è fondamentale". Sempre secondo Messina, c'è un altro antidoto: parlare del problema. "I giornali non prendono adeguatamente in considerazione la cosa - denuncia Messina - se ne parla troppo poco. Il non parlare dell'esistenza di questa minaccia la favorisce".

*****
Ndrangheta: truffa all'Unicredit, dentro in 15. Rispuntano i legami con Buccinasco
BUCCINASCO - Rispunta il nome di Giuseppe Pangallo nelle indagini delle forze dell'ordine impegnate nel sudovest milanese nel contrasto della 'ndrangheta, e in particolare della 'ndrina Barbaro-Papalia.

L'uomo, già citato nell'ultima relazione della Direzione distrettuale milanese per i suoi rapporti con due politici di Buccinasco vicini a Forza Italia Pdl, è stato arrestato assieme ad altre 14 persone in un'operazione della squadra mobile meneghina. Agli arresti domiciliari altre persone, tra cui un pentito della banda. L'accusa è quella di associazione a delinquere finalizzata alla truffa a istituti di credito, in particolare alla banca Unicredit. Tra gli indagati risulta infatti anche un suo funzionario. Ottocento mila euro il profitto raccimolato fino all'intervento della polizia di stato.

Secondo quanto riferisce la squadra mobile milanese, guidata da Francesco Messina, l'organizzazione andava alla ricerca di immobili di basso valore a Lecco e provincia. Poi, attraverso "teste di legno", ovvero "prestanomi" che facevano parte di aziende legate all'associazione criminale, accendevano mutui con Unicredit per l'acquisto degli edifici. L'ammontare del mutuo richiesto, grazie alla complicità di periti compiacenti, era sempre superiore al valore reale dell'immobile. Quindi la banda licenziava i propri dipendenti "prestanome", che non avendo più una busta paga con la quale dimostrare alla banca di avere un reddito, erano costretti a rescindere il pagamento del mutuo. Era dunque l'assicurazione a farsi carico, suo malgrado, delle rate.

Una truffa ben articolata, dunque. Che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, le modalità operative della mafia calabrese nel nord Italia. Operazioni condotte nel silenzio, senza il clamore degli omicidi. Ma particolarmente redditizie.
*****
'Ndrangheta, legami coi politici: bufera su Comunione e Liberazione a Buccinasco
BUCCINASCO - E' stato appoggiato da una componente di Comunione e Liberazione, alle elezioni amministrative del 2002 a Buccinasco, l'esponente di Forza Italia che risulta aver frequentato Giuseppe Pangallo, una delle quindici persone vicine alla cosca della ndrangheta Barbaro-Papalia arrestate dalla squadra mobile di Milano nell'ambito della truffa all'Unicredit.
Le frequentazioni sono state confermate oggi dal capo della squadra mobile Francesco Messina, dopo le pesanti righe contenute nell'ultima relazione della Direzione distrettuale antimafia milanese, stilata da Ferdinando Pomarici.

"Sono frequentazioni preoccupanti - dichiaraMessina - noi e la magistratura stiamo vagliando la sua posizione e quella di altre persone". Fra queste c'e' anche quella di un notaio. Gli agenti della squadra Criminalità Organizzata diretta da Josè Maria Falcicchia hanno accertato che parte delle somme truffate a Unicredit venivano spedite in Calabria. A capo del gruppo c'era appunto Giuseppe Pangallo, 29 anni, legato a doppio filo alla ndrina di Platì.

Davide Bortone - giornalelibero.com
*****
Corsico: condominio dice no alla targa antimafia. "Sono tra noi, abbiamo paura"
CORSICO - E' una vergogna per qualcuno, a Corsico, una targa di marmo in onore di Silvia Ruotolo, donna, moglie e madre innocente, uccisa durante una sparatoria tra clan rivali della Camorra, a Napoli. Lei rincasava. Loro si spartivano a pistolate due piazze di spaccio, che fruttavano 20 milioni a sera. Il Comune voleva affiggere la targa in ricordo di Silvia Ruotolo sotto i portici di via Malakoff, al civico 6: oggi sede di un'associazione che si occupa di disabili psichici, ieri supermarket gestito da un mafioso della famiglia siciliana Ciulla, confiscato dallo Stato e poi riassegnato a fini sociali, come prevede la legge 109.

Durante l'ultima assemblea di condominio, l'ordine del giorno relativo a quella "etichetta" commemorativa (concedere o meno al Comune l'autorizzazione di affiggerla sulla parete esterna dell'edificio, ben visibile a tutti) era sul fondo della "scaletta". Alla fine l'amministratore ha deciso da sé, perché se n'erano già andati quasi tutti. Il permesso non è stato concesso. E ieri i famigliari di Silvia Ruotolo (il marito e il figlio di 17 anni) hanno assistito alla cerimonia di scopertura della targa da parte del sindaco Sergio Graffeo all'interno dell'immobile confiscato. Pochi i presenti. Cerimonia quasi intima. Come se i panni sporchi della mafia si debbano lavare nel silenzio. Di soppiatto. Quasi per effetto di una forzatura. Di coscienza civica, di fatto, ne gira poca nel supercondominio di Corsico, che a est si affaccia sul quartiere Lorenteggio di Milano. Duecentodieci famiglie. Qualche negozietto sotto i portici che continua a cambiare gestore, a parte due o tre che resistono a che cosa, bene, non si sa. Qualche cognome "importante" sui campanelli, soprattutto di siciliani.

LO SPETTRO DEL BOSS
E' da lì che arrivava quell'esponente dei Ciulla, una delle famiglie mafiose meglio radicate nella zona sudovest milanese. Tutti sapevano chi era. Qualcuno dei residenti subì persino le sue minacce. "Nella notte e nella nebbia le lame dei coltelli non si vedono", se ne uscì sfacciatamente una sera per dirimere un battibecco con un uomo che vive tuttora tra i palazzi di via Malakoff. E pensare che il boss non pagava neppure la sua quota di condominio. Ma anche oggi che Ciulla non c'è più, la gente non si sente libera. Libera di parlare. Libera di scegliere di dire "no" alla mafia e consentire di affiggere quella targa, dove tutti possano vederla. Libera di dire che il quartiere sta dalla parte dello Stato e delle forze dell'ordine.

"Qui, e a Corsico in generale - riferisce un residente che preferisce rimanere anonimo, ma non risparmia di precisare che ha 'due lauree' - c'è qualcuno che sta dall'altra parte della barricata. Nel senso che sta dalla parte della mafia. Affiggere una targa a una vittima della mafia sotto i portici? Non è il caso che ce la cerchiamo. C'è gente al confino nella zona, personaggi ancora attivi e pericolosi. E' una realtà che esiste e che noi subiamo. La buona volontà è una cosa, fare cose come queste è un altro conto. Nessuno vuole disconoscere le vittime, ma siamo davanti a gente che non ha niente da perdere".

LE (SOTTO)VOCI DEL QUARTIERE
Non ha due lauree l'anziano che rincasa con le borse della spesa e viene avvicinato dal cronista. "No, no, no, non so niente, arrivederci", se ne sbarazza in pochi secondi, sgusciando via e infilandosi nell'androne. Chi sa non parla, in via Malakoff. E chi non sa preferisce non sapere. "Questo locale è stato confiscato alla mafia? Non lo so e non voglio saperlo, preferisco così", commenta veloce Francesca, mentre col marito sta andando a prenotare le vacanze. Sarà la fretta. "Però apporre fuori la targa non mi avrebbe dato fastidio", aggiunge.

Parla al citofono una donna che di cognome fa Badalamenti: "La scelta di mettere la targa fuori avrebbe reso la cosa più evidente, ma il Comune ha fatto poca pubblicità all'iniziativa", accusa. "Vale la pena di chiudere col passato - commenta un 45enne - non so se condivido l'idea di esporre la targa". A chi la questione non è non è andata giù è Marco Caimmi, sindacalista. Proporrà di rimettere all'ordine del giorno dell'assemblea condominiale il punto relativo alla targa. "Perché quanto è successo - denuncia - è proprio una vergogna".

*****
Corsichesi siete senza palle, senza vergogna, ma soprattutto senza dignità. Il quartiere di via Malakoff dove giocavo da bambino con i ragazzi (alcuni di questi figli dei boss) è ridotto peggio di una ndrina, siete più omertosi dei siciliani e siete buoni solamente a lamentarvi con tutto e tutti pretendendo che gente come Beppe Grillo faccia la rivoluzione al posto vostro mentre voi ve ne state alla finestra a guardare e a criticare tutto e tutti!!!
Nel frattempo continuate a votare i leghisti che vi dicono che la mafia al nord non esiste, va a finire che seppur li abbiate come vicini di casa (nel vero senso della parola) riuscireste anche a crederci a ste cazzate.
MI FATE SCHIFO!!!
*****

Generale Mori, a processo a Palermo diventa consulente di Expo 2015
Il generale Mario Mori colpisce ancora. Un anno fa, proprio d'agosto, Alemanno, da poco eletto sindaco di Roma, lo chiamò in Campidoglio per affidargli il coordinamento di tutte le iniziative comunali sulla “sicurezza urbana”. Cose come: il censimento dei casali abbandonati, il coordinamento delle pattuglie di volontari per il controllo di autobus e parchi (a Roma non chiamatele ronde), la realizzazione di una sala operativa in cui dovrebbero convergere le informazioni di tutte le telecamere cittadine, ma di cui ancora non si ha notizia. Una collaborazione che inizialmente doveva essere «a titolo gratuito».

Ma che poi, di fatto, gli fu affidata con largo esborso di denaro per le casse capitoline: 300mila euro in tre anni per lui, 365mila euro per il suo collaboratore Mario Redditi, già suo capo di gabinetto al Sisde. E con un tempismo perfetto, visto che il generale era stato appena rinviato a giudizio, nel giugno del 2008, insieme al colonnello Mauro Obinu, con l'accusa di favoreggiamento nei confronti del Capo di Cosa Nostra Bernando Provenzano, per il mancato blitz nel casale di Mezzojuso che avrebbe potuto portare all'arresto del latitante già nell'autunno del 1995 .

Un anno dopo, quel processo, è ancora in corso. Ed è cronaca di questi giorni la testimonianza rilasciata ai magistrati palermitani da Luciano Violante, che per tre volte quando era presidente della Commissione parlamentare Antimafia, in quel maledetto 1992, ricevette da Mori l'invito a incontrare “in un colloquio personale” Vito Ciancimino. I magistrati palermitani che indagano sulla presunta trattativa fra Stato e Mafia - che fu avviata secondo il racconto del figlio di Vito Ciancimino nel periodo delle stragi di Capaci e via D'Amelio - stanno acquisendo, dunque, elementi utili per mettere a fuoco il ruolo che l'ex comandante nel Ros, poi capo del Sisde con Berlusconi, svolse in quella vicenda ancora tutta da chiarire. Ma intanto, con lo stesso tempismo di un anno fa, per Mori, che siede ancora in Campidoglio con piena soddisfazione di Alemanno e poche parsimoniose notizie sul suo operato, spuntano nuovi prestigiosi incarichi amministrativi.

Questa volta è il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a pensare a lui. Formigoni denuncia il rischio di infiltrazioni mafiose negli appalti per la realizzazione di opere e infrastrutture legate all'Expo 2015. E annuncia che presso la Regione Lombardia a settembre si insedierà un comitato per la legalità e la trasparenza che vigilerà sugli appalti delle Grandi Opere regionali. A farne parte - «a titolo gratuito», secondo gli annunci - è stato chiamato anche in questo caso il generale Mori. E insieme a lui il capitano Giuseppe De Donno, che ha lasciato l'arma e ora fa il consulente per alcune società che si occupano di sicurezza. Già al fianco di Mori nel Ros e al Sisde. Nonché quando Mori, secondo quanto dichiarato dallo stesso figlio dell’ex sindaco di Palermo (vedi l'articolo di Nicola Biondo su l'Unità del 31 luglio scorso), incontrava suo padre Vito Ciancimino per consegnargli le mappe della città di Palermo, poi attraverso una serie di intermediari recapitate a Provenzano, che le restituì - sempre secondo il racconto di Massimo Ciancimino - con indicazioni "utili" a catturare Riina.

L'arresto di Totò Riina avvenne davvero, dopo le stragi del '92. Ma per diciannove giorni la villa dove si nascondeva rimase incustodita. Ma per questa vicenda Mori fu assolto perché "il fatto non costituisce reato". Anche se non fu possibile "accertare la causale delle condotte degli imputati".

*****
Mafie: l'impunita' culturale tutta lombarda della politica del non fare
di Giulio Cavalli - 12 agosto 2009 parte 1 di 2
Passano d’agosto i circhi vecchi delle dispute politiche officiate dagli strateghi della politica dello “stare”: quelli per cui ogni comunicato stampa...
...serve a tranquillizzare e tranquillizzarsi, e per i quali l’azione politica si riduce ad un “tenere in bilico” la barca dalle onde di collaboratori troppo ingombranti o peggio ancora di magistrati e forze dell’ordine che osano esimersi dalle ronde (alcoliche e analcoliche) o dalle persecuzioni legittimate. Se perseverare è diabolico, la Lombardia, pure ad Agosto, sottolinea la propria perseveranza (diabolicamente incendiaria e cornuta) nell’arroccarsi tra codicilli e competenze pur di non prendere decisioni e tanto più negarne il diritto agli altri.

A Milano che “la mafia non esiste” o perlomeno “non appartiene a questa città” la sindachessa Moratti ha provato a ripeterlo ovunque dai consigli comunali, alle televisioni in prima serata fino ad abusarne favoleggiandoselo (probabilmente) la sera per addormentarsi. Non soddisfatta ha poi lanciato comunque la commissione comunale antimafia che è durata poco meno di uno starnuto (come un coniglio dal cilindro) per rimangiarsela subito dopo adducendo competenze prefettizie che non andavano scavalcate. Ora, saputo che nella sua “Milanoland delle fiabe” un’intera cittadella è in mano alla criminalità organizzata come segnalato dal pm Gratteri (che di ‘ndangheta un po’ ne conosce avendone studiato la storia, morsicato alcune locali e reativi capibastone e annusandone tutti i giorni l’odore tra gli stipiti blindati che il suo lavoro gli impone) la sindachessa e la politica milanese tutta rimbalza responsabilità di intervento a non precisati enti o ruoli. Mentre La Russa si ridesta invocando l’esercito. Intanto tutti felici e contenti concordano nel ritenere i 6 caseggiati popolari di Viale Sarca e via Fulvio Testi in mano agli onomatopeici fratelli Porcino (bossetti di periferia legati alle cosche di Melito di Porto Salvo), i nomadi Hudorovich e i Braidic semplicemente un “neo”, una pozzanghera piccola piccola in quel placido, enorme e ligresteo tappeto di cemento che è il capoluogo lombardo spiato dall’alto.

A Lonate Pozzolo (come descrive puntualmente nel suo sito il bravo Roberto Galullo) il leghista Modesto Verderio, dopo aver denunciato gli interessi della famiglia Filipelli tutta in odore balsamico di ‘ndrangheta all’interno dell’areoporto di Malpensa finisce accantonato come si compete al visionario del rione. Intanto una statua di San Cataldo arriva da Cirò Marina a Lonate Pozzolo per scalzare Sant’Ambrogio nella festa del patrono santo con prepotenza laica.

A Buccinasco perde la pazienza addirittura la Lega che sul proprio giornale cittadino (”El giornalin de Bucinasc”) scrive contro il sindaco Loris Cereda: “Nonostante il sindaco Cereda continui a prodigarsi per dichiarare che a Buccinasco la mafia non è un problema e non riguarda le istituzioni i cittadini sono sempre più allarmati dalle notizie dei telegiornali che parlano di arresti e di commistioni fra politica e malavita organizzata. Noi siamo stanchi di sentire ripetere le solite litanie: la ‘ndrangheta è un’invenzione dei giornalisti, delle istituzioni, delle commissioni parlamentari, ecc. Come cittadini vorremmo finalmente capire cosa c’è e cosa non c’è di vero al di là delle strumentalizzazioni politiche. E non ci bastano le prese di posizione di alcuni consiglieri che dichiarano di ritenersi calabresi nel consiglio comunale aperto alla presenza dei magistrati Castelli e Pomodoro“.

A Desio (fine 2008) Il Consiglio comunale ha respinto un ordine del giorno contro la mafia (’ndrangheta, camorra e quant’altro) in Brianza. Hanno votato contro tutte le forze di maggioranza. L’o.d.g. era stato presentato in seguito alla scoperta delle discariche abusive di rifiuti tossici a Desio e a Seregno.

A Corsico diventa quasi una vergogna una targa di marmo in onore di Silvia Ruotolo, donna, moglie e madre innocente, uccisa durante una sparatoria tra clan rivali della Camorra, a Napoli. Lei rincasava. Loro si spartivano a pistolate due piazze di spaccio, che fruttavano 20 milioni a sera. Il Comune voleva affiggere la targa in ricordo di Silvia Ruotolo sotto i portici di via Malakoff, al civico 6: oggi sede di un’associazione che si occupa di disabili psichici, ieri supermarket gestito da un mafioso della famiglia siciliana Ciulla, confiscato dallo Stato e poi riassegnato a fini sociali, come prevede la legge 109. Durante l’ultima assemblea di condominio, l’ordine del giorno relativo a quella “etichetta” commemorativa (concedere o meno al Comune l’autorizzazione di affiggerla sulla parete esterna dell’edificio, ben visibile a tutti) era sul fondo della “scaletta”. Alla fine l’amministratore ha deciso da sé, perché se n’erano già andati quasi tutti. Il permesso non è stato concesso. E i famigliari di Silvia Ruotolo (il marito e il figlio di 17 anni) hanno assistito alla cerimonia di scopertura della targa da parte del sindaco Sergio Graffeo all’interno dell’immobile confiscato. Pochi i presenti. Cerimonia quasi intima. Come se i panni sporchi della mafia si debbano lavare nel silenzio. Di soppiatto. Quasi per effetto di una forzatura. Di coscienza civica, di fatto, ne gira poca nel supercondominio di Corsico, che a est si affaccia sul quartiere Lorenteggio di Milano. Duecentodieci famiglie. Qualche negozietto sotto i portici che continua a cambiare gestore, a parte due o tre che resistono a che cosa, bene, non si sa. Qualche cognome “importante” sui campanelli, soprattutto di siciliani.

Negli uffici della Direzione Nazionale Antimafia Enzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia, parla da profeta inascoltato. «Che la ‘ ndrangheta stesse colonizzando Milano lo dicevo negli anni 80. L’ ho confermato due anni fa e i fatti mi danno ragione. Ora c’è l’ Expo e non so più come dirlo».

...Continua...

Mafie: l'impunita' culturale tutta lombarda della politica del non fare

di Giulio Cavalli - 12 agosto 2009 parte 2 di 2
Passano d’agosto i circhi vecchi delle dispute politiche officiate dagli strateghi della politica dello “stare”: quelli per cui ogni comunicato stampa...
Solo per citare alcuni esempi:

Stupirebbe questo atteggiamento impermeabile in un paese normale, dove normalmente i politici dovrebbero essere eletti per prendere posizione, dare segnali forti e non solo per banalmente amministrare capitoli di spesa e distribuire (scaricandosene) ruoli e responsabilità. Qui non si tratta di disquisire i ruoli di governo e ordine pubblico come stabilito dalla legge; qui si rimane a supplicare un segnale, un lampo in cui ci si illuda che Marcello Paparo non possa sentirsi “libero” di collezionare bazooka come nei peggiori scenari di desolazione metropolitana post industriale, o Morabito non sfrecci impunito a parcheggiare il ferrarino in un posteggio dell’Ortomercato con l’arroganza di uno zorro a quattro ruote, o che Andrea Porcino (classe 1972, giusto per identificarlo meglio là fuori dal suo fortino dove gioca a seminare terrore) possa addirittura inventarsi intermediario con arie da tour operator mentre raccomanda ai secondini del carcere milanese di San Vittore dei buoni servigi e una residenza confortevole per i suoi amici Nino, Ettore e Massimo.

L’impunità dentro le teste (oltre alle tasche) dei capibastone ‘ndranghetisti o dei prestanome camorristi o dei ragionieri di Cosa Nostra in Lombardia è una responsabilità politica. Risolvibile semplicemente con la voglia e l’onestà di volere dare al di là di tutto un segnale. Per restituire dignità anche nella forma.

Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione diventata maestra perspicace nel strappare con la pinzetta delle ciglia l’allarmismo mentre grida all’emergenza dei rom che scippano le nonne. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Nel riflesso degli eroi diventati onorevoli che “la mafia l’hanno debellata decenni fa” e se così non fosse è semplicemente perchè non l’hanno mai trovata.

Una regione che è sacerdotessa della clandestinità diventata finalmente illegale e intanto finge di non sapere che l’illegalità pascola clandestina.

Ma c’è un tempo che è quello della memoria che supera le circostanze brevi della politica tutta a parare i colpi mungendo voti: la memoria sulla pelle dei nostri figli, delle prossime generazioni, quella che non entra nei libri di storia ma rimane sotto pelle come una traversata nella stiva mai raccontata. E allora pagheranno pegno davanti alla storia tutti i politici pavidi, cravattari amministratori tra la casetta in centro e l’incenso delle sciantose; pagheranno i sindaci dell’ “insabbia et impera” e i tranquillanti per professione. Pagheranno l’ignoranza e la persecuzione di uno stuolo di attivisti messi al muro per discolparsi di uno sguardo fatto di fatti. Sorrideranno a leggere che qualcuno, metti per caso una sindachessa di Milano calpestando i cadaveri delle antiestetiche vittime milanesi delle mafie, sia riuscita a mettersi nella situazione di dover essere smentita per un allarme che da decenni è già rientrato perchè metabolizzato: endovena, silenzioso. Impunito, appunto.

Nel gioco dei segnali così caro alla pochezza criminale, se esistesse un santo dell’estetica contro il diavolo della politica per comunicati stampa, da domani partirebbero le ronde della legalità nei crani dei politici a cercare con il lumicino la responsabilità della dignità.

*****
Quando nel profondo nord si chiese il pizzo alla fortuna di Giulio Cavalli
Basta che il tabloid tedesco Bild scriva un pezzo leggero come uno starnuto su presunte minacce mafiose a Vanni Simonetti (il 47 proprietario del bar “Biffi” di Bagnone, presunto vincitore del milionario jackpot del Superenalotto) per aprire un velo di gustoso costume sull’irrefrenabile mafiosità che inficia cose, casi ed eventi: la Dea bendata sulla sedia a dondolo che riceve la visita dei picciotti per la messa a posto è il racket più kitsch e botticelliano della drammaturgia mafiosa.

Eppure la barzelletta si allaccia alla memoria di un’indagine nemmeno troppo lontana che mette radici nel borotalco e dopobarba della profonda Lodi in Lombardia, storicamente abituata a “popolari” e improvvisi arricchimenti che scricchiolano nel finale. E’ il 1998 quando il gelese Salvatore Spampinato (lodigiano per adozione e residenza) si ritrova in tasca il biglietto fortunato da 7 miliardi di lire, catapultato nel profilo dell’improvviso miliardario di provincia. Sarebbe fin qui una favola di cabala di provincia se non fosse che la notizia corre come un brivido tra i pori della sonnolenza lodigiana fino ai compari gelesi nemmeno troppo lontani tanto da convincere gli stiddari Carmelo Fiorisi, Franco Morteo ed Enrico Manganuco che, come ha rivelato il pentito Rosario Trubia, “a quello lì volevano fargli cacciare un miliardo“. Così succede che la favola si scolora e sotto mentre stinge si intravede la faccia pelosa della Gela tentacolare (tra Stidda e Cosa Nostra) che si sdraia tra San Donato, San Giuliano Milanese, passando per Lodi e sbrodolando nel cremasco.

Ma come tutte le storie che funzionano c’è il colpo di scena: il fortunatissimo emigrante lavoratore Spampinato è amico Francesco Verderame ed Emanuele Caci, gelesi di Cosa Nostra trapiantati nel milanese, ed è facile chiedere una “mediazione” per risolvere il terrore provocato dagli stiddari. Ad indossare i panni dell’ambasciatore è proprio il Trubia che a questo punto sfodera il colpo di genio: la felice idea di farsi firmare da Spampinato una documento nel quale dichiara di avere vinto solamente un miliardo e 200 milioni. Munito di cotanta certificazione Trubia si fa ricevere dai boss stiddari Fiorisi, Morteo e Manganuco. “La vincita ammonta ad un miliardo e 200 milioni, non potete chiedergli un miliardo, chiudiamo a trecento milioni”. Gli stiddari accettano anche perché il fortunello Spampinato appare già baciato dalla benevolenza di Cosa Nostra prima della fortuna. Ma Trubia gioca su due tavoli, torna dallo Spampinato e gli dice che la faccenda è chiusa se lui versa 400 Milioni. È così che un pericoloso killer, capofamiglia di cosa nostra, mette in atto una delle più banali, prevedibili e poco eroiche truffe domestiche: la cresta.

100 milioni taglieggiati al taglieggiamento alla fortuna: un capolavoro d’alta finanza fantasiosa e sottotraccia come sarà nelle corde della lodigianissima città.

100 miloni riciclati in fretta nel profondo nord dalle mani dell’allora capomafia Alessandro Emmanuello che non avrà faticato ad impastare droga da sversare nel sud Milano.

Un biglietto della fortuna appena vinto è che già a lasciato un pennellata di costume.

Costume scostumato di storie, bava, buona fortuna e sorrisi finiti sotto al tappeto con una differenza sostanziale: la fortuna è arrivata per caso e il caso se la porta via, Stidda e Cosa Nostra gelese no.

*****
Operazione della Dia nel Sud Milano: così la 'ndrangheta ha provato a mettere le mani sul castello di Cusago
CESANO BOSCONE - Altro che movimento terra, appalti edili e traffico di droga. La cosca Barbaro-Papalia della 'ndrangheta ha tentato di mettere le mani anche su un altro grosso affare: quello del castello di Cusago. Un'operazione da 4 milioni di euro. Lo dimostra l'arresto del presidente e del vicepresidente del gruppo immobiliare Kreiamo di Cesano Boscone, Alfredo Iorio e Andrea Madaffari, che erano in trattativa con Fabio Rappo, detentore delle quote di maggioranza della società Il Castello Srl, per la compravendita del maniero cusaghese. Un affare che non è andato in porto in circostanze quanto meno sospette: dopo aver versato il compresso, prima dell'estate 2009, Kreiamo non è andata a rogito. Si diceva per problemi finanziari. Ma forse il cerchio delle forze dell'ordine cominciava già a stringersi attorno ai due imprenditori cesanesi, definiti quest'oggi dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) due tra gli "insospettabili" che avevano iniziato a fare affari col clan Barbaro-Papalia, attivo in tutto il sudovest e in particolare nei Comuni di Assago, Buccinasco, Cesano Boscone, Corsico e Trezzano sul Naviglio, anche dopo essere stati a loro volta intimiditi.

Nel corso della mattinata, il personale della Dia di Milano, del Gico della Guardia di Finanza di Milano e dell'Arma dei Carabinieri di Corsico, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia del Tribunale di Milano (Pm Bocassini, Venditti, Dolci e Storari), hanno dato esecuzione alle 17 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Milano Giuseppe Gennari, e a oltre 60 perquisizioni. Nell'operazione sono stati sequestrati beni per 5 milioni di euro, costituiti da beni immobiliari e quote societarie a carico di affiliati della cosca Barbaro Papalia. Complessivamente sono iscritte al registro degli indagati 48 persone. Le indagini sono iniziate a ottobre 2007, in seguito a numerosi accertamenti che avevano evidenziato possibili infiltrazioni di "elementi appartenenti o contigui" alla 'ndrangheta, in attività edilizie e immobiliari, nelle aree del Sud Milano. La Dda, che già coordinava diverse indagini collegate ai reparti di polizia del territorio su reati strumentali all'associazione mafiosa e perlopiù riferite "a traffici di stupefacenti e a episodi estorsivi e intimidatori", ha delegato indagini mirate.

L'APPORTO DEL CAPITANO DI CORSICO
Determinante è risultato l'apporto di Ruggero Rugge, capitano dei carabinieri della Compagnia di Corsico, il cui trasferimento dalle zone 'calde' della Calabria al sudovest milanese sta risultando un provvedimento sempre più utile e azzeccato da parte dell'Arma. Quello che è emerso è che la cosca Barbaro Papalia aveva costituito un'associazione per delinquere finalizzata anche all'infiltrazione in appalti del settore edile e del movimento terra, "attraverso società a loro direttamente o indirettamente riconducibili", riferiscono gli inquirenti. Un'organizzazione che ha saputo fare fronte in maniera spaventosa alla carcerazione di alcuni capi carismatici (per citarne uno: Domenico Barbaro "l'australiano"), ricevendo addirittura "le strategie di massima" direttamente dalle carceri. E riorganizzandosi in base ad esse. Il sodalizio, come riferiscono gli inquirenti, "ha evidenziato da subito notevole forza di intimidazione, interessi operativi nel tradizionale segmento del traffico di stupefacenti e buone capacità imprenditoriali nell'edilizia e nel movimento terra, grazie a rapporti privilegiati con affermati operatori del settore". E' il caso, questo, di Alfredo Iorio e Andrea Madaffari, a capo dell'impero societario di Kreiamo, i cui cantieri sono tuttora aperti e altri hanno recentemente chiuso anche in Comuni come Cisliano, alle porte di Abbiategrasso. Tra l'altro, Alfredo Iorio risulta anche presidente del Cusago calcio.

I TASSELLI DEL MOSAICO
A maggio 2008, in un box di Assago, sono stati sequestrati due fucili mitragliatori, un fucile a canne mozze, una mitragliatrice, cinque pistole, dispositivi silenziatori, diverse munizioni e una bomba a mano. Il tutto era a disposizione della cosca indagata. Altra data fondamentale è il 5 giungo 2008, quando a Corsico sono stati sequestrati quattro chili di cocaina e arrestati i due detentori. Come nelle migliori tradizioni della criminalità mafiosa, il sodalizio, "essendo in grado - spiegano gli inquirenti - di garantire una buona copertura nel territorio in cui era attivo, si è prestato anche ad attività di appoggio logistico a favore di altri gruppi della 'ndrangheta".

L'8 giugno 2008, infatti, in un appartamento di Assago nelle disponibilità della famiglia Barbaro, è stato arrestato il superlatitante Paolo Sergi, nato a Platì il 18 settembre 1942, ricercato dal 7 maggio 2008 per ordine della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. "I sequestri e gli arresti - evidenziano i pm, i responsabili della Dia e della Dda e le forze dell'ordine - hanno una valenza molto importante in quanto fonti di prova delle connotazioni e delle capacità militari dell'organizzazione indagata". Nel corso delle attività investigative, è stata anche documentata la presenza di "soggetti calabresi contigui all'organizzazione" nei cantieri della linea ferroviaria Milano-Mortara e della Tav, in attività di movimentazione terra e smaltimento rifiuti, interrati proprio sotto i binari. E' stato anche rilevato che Salvatore Barbaro, figlio di Domenico "l'Australiano", era socio occulto al 50 per cento della Buccinasco Immobiliare Srl, proprietaria di un immobile del valore di circa 1 milione e 400 mila euro. Fu la cosca stessa cosca a incendiare l'agenzia immobiliare per intimidire il titolare, Salvatore Sansone, picchiato e ricoverato in seguito per diversi giorni in ospedale.

I NOMI
Ma ecco i nomi delle persone per le quali è scattata la custodia cautelare in carcere: Domenico Barbaro, nato a Platì il 5 maggio 1937 (già detenuto); Francesco Barbaro, nato a Platì il 31 ottobre 1976; Rosario Barbaro, nato a Platì il 19 luglio 1972 (già detenuto); Salvatore Barbaro, nato a Locri il 15 agosto 1973 (già detenuto); Andrea Madaffari, nato a Milano il 1 luglio 1973 (non detenuto); Franco Michele Mazzone, nato a Milano il 24 marzo 1965 (non detenuto); Nicola Carbone, nato a Milano il 10 aprile 1965 (non detenuto); Giuseppe D'Aloja, nato a Minervino Murge (Bari) il 7 maggio 1956 (già detenuto); Achille Frontini, nato a Milano il 26 luglio 1943 (non detenuto); Alfredo Iorio, nato a Cosenza il 18 luglio 1970 (non detenuto); Giuseppe Liuni, nato a Canosa di Puglia il 23 ottobre 1957 (già detenuto); Paolo Salvaggio, nato a Pietraperzia (Enna) il 29 gennaio 1957 (non detenuto); Fortunato Startari, nato a Melito di Porto Salvo il 5 giugno 1974 (non detenuto); Claudio Triglione, nato a Milano il 1 marzo 1982 (non detenuto).

*****
Bye bye Barbaro, imprenditori (finalmente) mafiosi del Nord dal blog di Giulio Cavalli

Fino a ieri si poteva affermare che a Milano dagli anni ‘90 non c’erano state condanne per il reato di associazione mafiosa. Fino a ieri alcuni politici e rappresentanti delle istituzioni “disinformati” potevano dichiarare che a Milano la mafia non esisteva. Fino a ieri appunto. Perchè ieri qualcosa è cambiato.

Dopo molti anni, proprio nel capoluogo lombardo, c’è stata una sentenza di condanna in primo grado per l’art.416 bis c.p. Il boss Salvatore Barbaro è stato condannato a 9 anni di reclusione, il padre Domenico (detto l’australiano) e il fratello Rosario a 7 anni. Tuttavia, la condanna più rumorosa è sicuramente quella di 4 anni e 6 mesi inflitta all’imprenditore Maurizio Luraghi che, secondo la sentenza, avrebbe messo a disposizione del clan la sua azienda, la “Lavori stradali Srl”.

I giudici della settima sezione penale del Tribunale di Milano hanno riconosciuto l’imprenditore milanese colluso con le attività criminali della famiglia Barbaro- Papalia. Finalmente la presenza di questo clan ‘ndranghetista radicato profondamente nel territorio lombrado viene riconociuta da una sentenza. Finalmente, inoltre, viene punito un imprenditore che ha chiuso gli occhi e agevolato gli affari della criminalità organizzata.

Maurizio Luraghi attraverso la sua azienda si aggiudicava gli appalti per poi girarli in subappalto alle ditte Edil company, Mo.bar, Fmr scavi e Lmt che facevano diretto riferimento al clan.

Ma, nel nostro paese del rovesciamento, l’avvocato dell’imprenditore ha affermato che il suo cliente è stato condannato “perchè si pretendeva da lui un comportamento eroico, che non si può pretendere da un cittadino se è lo Stato che non riesce a controllare questi fenomeni”. Vorrei che l’avvocato capisse che dal suo cliente si esigeva semplicemente il comportamento di ogni cittadino responsabile. È vero, come dice Don Abbondio che “il coraggio uno non se lo può dare”, ma è altrettanto vero che vi è sostanziale differenza tra codardia e collusione. La prima è una limitazione caratteriale, la seconda è un reato.

Infine, non posso non dedicare almeno un pensiero al mio pubblico più attento: Salvatore, Domenico e Rosario. Ebbene costoro hanno sempre seguito con un’attenzione quasi maniacale il mio lavoro teatrale e io ho ricambiato parlando di loro. Ho raccontato di come Domenico Barbaro avesse cominciato la carriera negli anni Settanta con i sequestri di persona e il traffico di droga e di come Salvatore e Rosario si fossero evoluti rispetto al padre, diventando imprenditori e vincendo appalti nel settore dell’edilizia. Ho raccontato di come avessero una forte influenza a Buccinasco, Corsico e Trezzano sul Naviglio. Ho raccontato che non avevano più bisogno di minacciare gli imprenditori, perchè alcuni si offrivano spontaneamente a loro.

A quanto pare ho raccontato fatti veri, che oggi sono riconosciuti da una sentenza. Queste condanne, inoltre, segnano un precedente molto importante, poiché da qui proseguiranno anche le inchieste Parco sud 1 e 2 in cui sono implicati altri imprenditori e politici locali.

Mi auguro che la magistratura possa portare a compimento tutti i processi e possa assicurare alla giustizia ‘ndranghetisti e associati.

Sono felice che il pubblico che mi ha seguito con più attenzione, Domenico, Salvatore e Rosario, finalmente non sia più impunito. Li consoli il fatto che non cesserò di parlare di loro.

*****
Tangenti e 'ndrangheta, patteggiano l'ex sindaco e l'assessore di Trezzano
L'ex sindaco del Pd di Trezzano sul Naviglio (Milano), Tiziano Butturini, e l'ex consigliere comunale del Pdl di Trezzano, Michele Iannuzzi, finito in carcere lo scorso febbraio per corruzione nell'ambito di un nuovo filone dell'inchiesta della Dda di Milano sulle infiltrazioni mafiose, hanno patteggiato oggi le pene rispettivamente di 2 anni e 5 mesi e di 2 anni e 8 mesi di reclusione. Il patteggiamento è stato ratificato dal gup di Milano Andrea Salemme, in base a un accordo raggiunto tra i pm e i difensori degli imputati. È stato inoltre condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione Andrea Madaffari, vice presidente della società immobiliare Kreiamo Spa, anche lui raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare lo scorso 22 febbraio e già detenuto dallo scorso novembre nell'ambito del primo filone dell'inchiesta della Dda sul clan della 'ndrangheta Barbaro-Papalia, attivo nel settore edile e del movimento terra nei comuni a sud di Milano. L'ex sindaco Butturini, in carcere da circa 4 mesi, con il patteggiamento ha ottenuto la concessione degli arresti domiciliari. Iannuzzi invece si trova già agli arresti domiciliari dalle scorse settimane.

LA TANGENTE - Stando alle indagini condotte dalla Dia l'ex sindaco, che era anche presidente del cda di Tasm spa e di Amiacque srl (aziende pubbliche che si occupano di risorse idriche), avrebbe preso una tangente da 5 mila euro per affidare lavori ad alcune imprese partecipate dalla Kreiamo Spa. L'ex consigliere, invece, anche lui all'epoca dei fatti nel cda di Tasm, sempre secondo l'accusa, avrebbe ricevuto 12 mila euro, oltre alla promessa di altro denaro, per garantire l'approvazione di un piano di lottizzazione a Trezzano. La mente di tutto il «programma di penetrazione nel tessuto politico e amministrativo locale», attraverso «lo scambio di favori», come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare del febbraio scorso, sarebbe stato il presidente della Kreiamo, Alfredo Iorio. Anche Iorio è stato arrestato con l'accusa di associazione mafiosa a novembre, come Madaffari, assieme agli esponenti del clan Barbaro-Papalia, nell'ambito dell'inchiesta «Parco Sud». Anche grazie alle dichiarazioni di Iorio, gli inquirenti erano riusciti a ricostruire gli episodi di corruzione.

NEGA TUTTO - Butturini, come hanno spiegato i suoi legali, gli avvocati Nerio Diodà e Matteo Calori, «ha costantemente negato di aver ricevuto danaro da Alfredo Iorio ed ha respinto totalmente qualsiasi rapporto o relazione, personale e non, con ambiti di criminalità organizzata legati in particolare alla 'ndrangheta».

*****
'Ndrangheta: Maxi operazione fra Calabria e il Nord, 300 arresti
Dalle prime ore di questa mattina e' in corso la piu' imponente operazione contro la 'ndrangheta degli ultimi anni, secondo quanto riferisce un comunicato congiunto di Polizia e Carabinieri. 3000 uomini dei carabinieri e della polizia di Stato stanno procedendo, in Calabria e in diverse localita' dell'Italia settentrionale, all'arresto di oltre 300 indagati per associazione di tipo mafioso, traffico di armi e stupefacenti, omicidio, estorsione, usura ed altri gravi reati.

Preso il "capo dei capi"
Colpo grosso durante la maxi-operazione contro la 'ndrangheta che ha portato all'arresto di 300 persone in tutta Italia. Tra le persone finite in manette c'è anche Domenico Oppedisano, 80 anni, considerato l'attuale numero uno delle cosche calabresi. La sua nomina al vertice dell'organismo che comanda su tutte le 'ndrine sarebbe stata decisa il 19 agosto del 2009 nel corso del matrimonio tra Elisa Pelle e Giuseppe Barbaro, entrambi figli di boss.
Preso numero uno della 'ndrangheta

A quel matrimonio, hanno accertato gli investigatori, vennero decise tutte le cariche di vertice della 'ndrangheta: capocrimine fu nominato appunto Oppedisano, a rivestire il ruolo di "capo società, cioé il numero 2, è stato scelto Antonino Latella (già arrestato), mentre il ruolo di "mastro generale" fu affidato a Bruno Gioffré.

Oppedisano, sottolineano gli investigatori, che è nato e viveva a Rosarno, appartiene al mandamento "Tirrenico", Latella a quello del "Centro", e Gioffré a quello "Jonico": in sostanza, viene fatto notare, i tre ruoli apicali erano equamente divisi per ogni mandamento.

La nomina di Oppedisano divenne effettiva il 1 settembre 2009 a mezzogiorno in punto, al santuario di Polsi durante le celebrazioni per la festa della Madonna.

Secondo gli investigatori, Oppedisano è "punto di riferimento dell'intera organizzazione" e "fautore di una politica pacifista all'interno dell'organizzazione", chiamato in causa per la "risoluzione di controversie" sorte nell'ambito della criminalità organizzata per la spartizione di appalti, anche al nord, sia per le liti tra 'locali' anche all'estero".
*****
Minacciati di querela dalle istituzioni, i cittadini antimafia di Cisliano chiudono il gruppo
Mentre scrivo questa mia, il gruppo facebook "cisliano si ribella alla ndrangheta" sta per chiudere. Lo fa perchè un'amministrazione comunale ha preferito adire le vie legali contro tutti coloro che hanno fatto appello alla cittadinanza per indire una manifestazione comune antimafia apartitica anzichè consentire agli stessi cittadini di essere uniti contro uno dei peggiori cancri della zona del sud ovest milanese.

Il gruppo nato su iniziativa del giornalista Davide Bortone in seguito agli arresti del clan Valle e la susseguente chiusura del ristorante "La Masseria" di Cisliano ove sembra che venissero addirittura torturati quegli imprenditori che non si lasciavano corrompere facilmente, mirava a chiedere alle autorità locali di stringersi assieme ai cittadini in una lotta antimafia che partisse dalla base civile e riuscisse a coinvolgere buona parte di essa in una zona ove la presenza ultraquarantennale delle cosche calabresi e siciliane hanno la loro base operativa.

La cronaca:
Il 2 luglio 2010 una maxioperazione da 250 uomini e 2 anni di lavoro, trova il suo culmine nell'arresto del clan Valle legati a doppio filo alla ‘ndrina dei De Stefano i quali tentavano di investire anche in Expo.

A seguito di questi arresti, il giornalista Davide Bortone apre un gruppo su facebook e invita la cittadinanza a farne parte, oltretutto cerca di aprire un dialogo con le istituzioni a cominciare dal sindaco che però si rende irreperibile alle sue richieste di dialogo e confronto.
Il 19 luglio, stanco dei continui silenzi dell'amministrazione pubblica, Davide scrive una lettera aperta al sindaco e all'amministrazione e oltre a consegnarla e protocollarla, la fa pubblicare sui giornali e sui siti, nel frattempo il gruppo su facebook cresce a dismisura come numero di adesioni, ma la risposta purtroppo in questo caso non si fa attendere molto: il comune di Cisliano affida ai media la sua posizione in questo articolo dove si accusa apertamente il gruppo fatto di cittadini di aver approfittato dell'occasione degli arresti eccellenti per attaccare l'amministrazione comunale.

Si resta basiti davanti a tali risposte, dal comunicato estrapoliamo:
L’Amministrazione comunale ritiene che ognuno debba fare la sua parte, nel pieno rispetto della legge ma anche dei rispettivi ruoli. Nulla vieta a un gruppo di cittadini di organizzare autonomamente ogni sorta di manifestazione per “sensibilizzare” contro la ‘ndrangheta, ovviamente richiedendo le necessarie autorizzazioni alle autorità competenti ma, nel caso specifico di Cisliano non è stato finora avanzata nessuna proposta concreta, ma solo una richiesta generica di “sostegno obbligatorio a prescindere”.
L’Amministrazione valuterà tutte le eventuali proposte concrete e, se saranno valide e possibili sotto il profilo istituzionale e soprattutto in linea con le direttive delle autorità preposte, non avrà alcun problema nel dare assenso all’iniziativa che, comunque, sia chiaro, può svolgersi indipendentemente dalla partecipazione di chicchessia istituzione, Comunale o altro.
Praticamente questa giunta vuole prima verificare che il gruppo sia in sintonia con il suo modo di fare "anti-'ndranghetismo" e questo perchè?
Forse perchè "qualcuno" si potrebbe offendere?

L'ultimo capitolo dopo le ferie estive: si apprende dai giornali locali che l'Amministrazione comunale di Cisliano sta valutando l'ipotesi di agire per vie legali nei confronti del giornalista Davide Bortone per i contenuti del suo gruppo Facebook dando seguito alle già annunciate minacce, i fondatori prendono quindi una decisione definitiva e dolorosa: chiudere il gruppo.
Il giornalista del sud ovest milanese dichiara sul sito:
"Ho preso questa decisione con molta amarezza. Per l'ennesima volta sono stato costretto a scontrarmi frontalmente con degli amministratori di Comuni del sudovest milanese, su un tema che invece dovrebbe mettere tutti d'accordo: la lotta alle mafie. L’Italia è un Paese malato che, in troppe occasioni, rifiuta le cure di semplici cittadini impegnati socialmente per "guarirlo". Tutto ciò, evidentemente, perché la barca affonda nella melma a partire dalla cabina di comando."

oltetutto fa un appello:
"Prima di eliminare definitivamente il gruppo da Facebook, vorrei sottolineare ancora una volta la totale mancanza di coerenza della giunta di Cisliano, a cui basta ricordare di aver chiesto ai Comuni del circondario “di attuare un ‘Patto dei Sindaci per la Legalità’”, e che tale proposta sia “caduta nel vuoto”, per giustificare il proprio immobilismo nell’organizzazione di un evento antimafioso in paese. Il Comune di Cisliano precisi quali sono i Comuni che non hanno risposto a tale appello! Faccia i nomi! Costringa i relativi amministratori a motivare il proprio silenzio, per dare peso effettivo e concreto alla propria proposta, da relegare altrimenti alla più bassa retorica antimafiosa."

Nel frattempo si spera che i nuovi problemi della giunta clislianese riguardanti l'arresto del vicesindaco per detenzione di marijuana, tengano impegnati i burocrati e allontani il pericolo querela dalle teste dei cittadini cislianesi che hanno avuto il torto di di iscriversi al gruppo facebook.

*****
Dal mitico Nikilnero:
Chistian Abbondanza ed Elio Veltri ci parlano di mafia al nord, ascoltate attentamente quello che hanno da dirci. http://www.youtube.com/watch?v=WsNwyZopLo0

*****
Ieri è comparso un articolo su un giornale on line di Sassuolo dove si parla di una collaborazione tra le città di Corsico e di Reggio riguardo la lotta alle varie "mafie"; più nel dettaglio si parla di una visita della nostra "sindaca" alla giunta comunale dove si legge "il sindaco di Corsico ha potuto visionare i progetti dell’amministrazione comunale di Reggio Emilia in materia di trasparenza degli appalti e di azioni di prevenzione e di sostegno alla cultura della legalità."

Siccome ho presente che le migliori proposte a riguardo sono state fatte dal gruppo meetup di Reggio Emilia in tempi ormai remoti e so anche che la giunta comunale di Reggio non ha ancora recepito nessuna di queste proposte, (almeno così leggo qua), mi piacerebbe sapere se qualcuno di voi ha idea di che cosa abbiano parlato i politicanti e quali siano le mirabilanti proposte che la giunta di Reggio Emilia abbia suggerito alla nostra sindaca, perchè purtroppo, come spesso capita, i giornali non entrano MAI nei dettagli.
http://www.sassuolo2000.it/2010/12/10/il-sindaco-di-corsico-mi-a-reggio-per-conoscere-i-progetti-del-comune-per-contrastare-le-infiltrazioni-mafiose/

*****
ARRESTI in bassa Valle di Susa legati alla cosca mafiosa Magnis che offriva protezione in cambio del pagamento del pizzo a gestori di esercizi pubblici e imprenditori edili. Al centro dell’attività criminale della famiglia, intorno a cui ruotano anche altri personaggi della malavita nostrana, non solo le estorsioni ma anche il racket dei videopoker. Questo era infatti, l’altro metodo per ottenere protezione: istallare una delle macchinette illegali fornite dall’organizzazione criminale che poi ne riscuoteva regolarmente i proventi. A fornire i videopoker truccati un imprenditore rivolese, Michele Rubino, 51 anni, titolare della R&M games, uno dei collaboratori del clan esterno alla famiglia, insieme ad Alfio Siracusa, 36 anni di Avigliana. Era uno dei gregari della famiglia, e si occupava della riscossione del pizzo. Per chi si rifiutava di pagare, nella maggior parte dei casi arrivavano botte e minacce. Così la ‘ndrangheta ha allungato in questi anni i suoi tentacoli sulla provincia di Torino seguendo la storia di una famiglia, i Magnis, che per lungo tempo hanno avuto il controllo di buona parte della regione. E’ la storia di un’intera famiglia di origine palermitana e legata ai clan dei Lo Piccolo, un’organizzazione criminale a conduzione familiare che aveva coinvolto anche altre persone. Dodici in tutto gli arresti che hanno messo fine all’inchiesta della compagnia dei carabinieri di Chivasso, iniziata il 18 marzo del 2009: dieci sono i membri della cosca Magnis, due i loro avversari.
su Luna Nuova di venerdì 17 dicembre
*****
La 'ndrangheta lavora anche a Natale:
Cesano. In fiamme camion in un cantiere in via Vespucci
Cesano Boscone, 25 dicembre 2010 - Ieri sera, poco prima delle 22.00, mentre era in corso una pioggia battente, in un cantiere sito in via Vespucci, a fianco alla discarica cittadina, la cabina di un camion per il movimento terra è andata in fiamme.
Sul posto sono giunti subito i Vigili del Fuoco e i Carabinieri di Corsico, che dopo esser entrati nel cantiere, hanno domato le fiamme.
Il cantiere si trova in un'area edilizia, dove dovrebbe sorgere la zona artigianale, stando al Piano di Governo del Territorio, che deve essere ancora discusso.

*****
Discoteche, cantieri, centri sportivi: gli affari della 'ndrangheta spa
Anche centri sportivi controllati dai clan. Catturati Paolo Martino e Pepé Flachi, padrino di Comasina e Bruzzano - parte prima:
C’è il boss Pepé Flachi, padrone di Bruzzano e della Comasina fin dai tempi della guerra con la famiglia campana dei Batti. Sterminata negli anni 80 e 90. C’è suo figlio Davide, 31 anni, cresciuto in fretta nel nome del padre. C’è soprattutto Paolo Martino, 55 anni, originario del quartiere Archi di Reggio Calabria, cugino del potentissimo boss Paolo De Stefano e imparentato con i Tegano. Il gotha della ’ndrangheta. Martino è un killer di mafia, ma una volta scarcerato si trasferisce in corso Como, si muove in Jaguar, abiti di sartoria e frequenta politici e imprenditori. E poi cantieri, appalti, controllo dei locali notturni e voti promessi ai politici alle scorse regionali. C’è uno spaccato della ’ndrangheta a Milano fatto di agguati, estorsioni, controllo militare del territorio (Comasina, Bruzzano e Bresso), nell’operazione Redux-Caposaldo che ieri ha portato all’arresto di 35 presunti affiliati alla ’ndrangheta. Gli arresti sono stati eseguiti dal Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, dal Gruppo operativo criminalità organizzata della Finanza, con il supporto della polizia locale. Le indagini sono state condotte dal capo della Direzione distrettuale antimafia Ilda Boccassini, con i pm Galileo Proietto, Alessandra Dolci e Paolo Storari. Le accuse: associazione mafiosa, estorsioni e droga. Ruspe e rifiuti - Tramite società vicine al gruppo Flachi-Martino le cosche hanno lavorato in una lunga serie di opere pubbliche e private. Il tutto in barba anche ai controlli predisposti dal Comune. E l’elenco è lunghissimo: via Stephenson, viale Zara (M5), via Adda, l’ex Fiera al Portello, l’ex Ansaldo di via Tortona, il contestato parcheggio di piazza XXV Aprile, la M5 in via Comasina, via Pirelli, via Scarsellini, via Segantini, via Valtellina, via Boiardo e il sottopasso di Lambrate. Non solo, perché i bilici delle cosche hanno lavorato al cantiere della Statale 36 Monza-Cinisello Balsamo, a Monza in via Mauri, a Basiano in via Roma, e a Paderno Dugnano. Cooperative e pacchi - La famiglia Flachi, secondo quanto emerso dalle indagini dei finanzieri guidati dal tenente colonnello Giancarlo Frisani, ha gestito per oltre 20 anni il mercato dei padroncini e delle cooperative legate al gruppo internazionale Tnt. La gestione è stata portata avanti tramite alcune società intestate a prestanomi e come nel caso dagli appalti edili, «dalle aziende Autotrasporti Alma srl, Edilscavi srl, Mfm Group srl, Cooperativa Regina ed altre allo stato non identificate». Una ragnatela sostenuta con vere e proprie «guerre» alla concorrenza. Violenza e minacce per ottenere l’esclusiva del trasporto merci a Milano e provincia. Summit in corsia - È il primo pomeriggio del 18 aprile 2009, Pepé Falchi, da poco scarcerato per una grave malattia, assieme al figlio Davide incontra il boss Paolo Martino. L’appuntamento avviene nella sala d’aspetto del laboratorio Analisi dell’ospedale Galeazzi. L’incontro si replica altre 3 volte, con Martino e altri affiliati. A filmare tutto ci sono i carabinieri del Ros guidati dal colonnello Sandro Sandulli. Secondo gli inquirenti il gruppo può contare sulla complicità di due dipendenti della struttura, mentre in un altro ospedale, il Niguarda, grazie ad un dipendente e anche all’interessamento dell’ex assessore provinciale Antonio Oliverio sarebbe stato curato il boss ’ndranghetista di San Luca Francesco Pelle. Ecco cosa annota il giudice Giuseppe Gennari nell’ordinanza di custodia cautelare: «L’ospedale Galeazzi è ridotto a luogo di incontro riservato al servizio della ’ndrangheta». E «la cosa gravissima è che questa ormai conclamata penetrazione, a vari livelli, della sanità lombarda accade nella sostanziale indifferenza (si spera dettata anche da ignoranza) dei vertici amministrativi e politici, che anche dopo le recenti indagini non risulta abbiano assunto alcuna iniziativa». Gli ospedali interessati ieri hanno annunciato «indagini interne» (il Galeazzi è pronto anche parte lesa), ma chiarito che non sono state evidenziate responsabilità delle aziende ospedaliere. Anche il Pirellone ha precisato che non sono state riscontrate irregolarità. Locali, security e panini - Al clan, grazie a Max Buonocore, andrebbero anche i soldi del Comune per la gestione del centro sportivo Iseo, Ma non solo, visto che i Flachi e gli uomini di Paolo Martino hanno gestito anche le discoteche De Sade di via Valtellina (teatro di un omicidio per ragioni di droga proprio legato all’indagine) e Babylon. Il De Sade è stato per anni un avamposto delle cosche. Ma nella rete di compiacenze e gestione di buttafuori e sicurezza (anche con poliziotti fuori servizio) sono molti i locali finiti nell’inchiesta: Just Cavalli, Hollywood, Officina della Birra. Ma i Flachi hanno gestito con gli uomini della cosca Pesce di Rosarno (Rc) anche il racket degli «autonegozi» i chioschi mobili per i panini. Richieste di pizzo e zone off limits. Senza l’assenso delle cosche «non si può lavorare a Città studi, in corso Como e in viale Sarca».] MILANO - C'è il boss Pepé Flachi, padrone di Bruzzano e della Comasina fin dai tempi della guerra con la famiglia campana dei Batti. Sterminata negli anni 80 e 90. C'è suo figlio Davide, 31 anni, cresciuto in fretta nel nome del padre. C'è soprattutto Paolo Martino, 55 anni, originario del quartiere Archi di Reggio Calabria, cugino del potentissimo boss Paolo De Stefano e imparentato con i Tegano. Il gotha della 'ndrangheta. Martino è un killer di mafia, ma una volta scarcerato si trasferisce in corso Como, si muove in Jaguar, abiti di sartoria e frequenta politici e imprenditori. E poi cantieri, appalti, controllo dei locali notturni e voti promessi ai politici alle scorse regionali.
C'è uno spaccato della 'ndrangheta a Milano fatto di agguati, estorsioni, controllo militare del territorio (Comasina, Bruzzano e Bresso), nell'operazione Redux-Caposaldo che ieri ha portato all'arresto di 35 presunti affiliati alla 'ndrangheta. Gli arresti sono stati eseguiti dal Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, dal Gruppo operativo criminalità organizzata della Finanza, con il supporto della polizia locale. Le indagini sono state condotte dal capo della Direzione distrettuale antimafia Ilda Boccassini, con i pm Galileo Proietto, Alessandra Dolci e Paolo Storari. Le accuse: associazione mafiosa, estorsioni e droga.


Discoteche, cantieri, centri sportivi: gli affari della 'ndrangheta spa
Anche centri sportivi controllati dai clan. Catturati Paolo Martino e Pepé Flachi, padrino di Comasina e Bruzzano - parte seconda:
Ruspe e rifiuti - Tramite società vicine al gruppo Flachi-Martino le cosche hanno lavorato in una lunga serie di opere pubbliche e private. Il tutto in barba anche ai controlli predisposti dal Comune. E l'elenco è lunghissimo: via Stephenson, viale Zara (M5), via Adda, l'ex Fiera al Portello, l'ex Ansaldo di via Tortona, il contestato parcheggio di piazza XXV Aprile, la M5 in via Comasina, via Pirelli, via Scarsellini, via Segantini, via Valtellina, via Boiardo e il sottopasso di Lambrate. Non solo, perché i bilici delle cosche hanno lavorato al cantiere della Statale 36 Monza-Cinisello Balsamo, a Monza in via Mauri, a Basiano in via Roma, e a Paderno Dugnano.

Cooperative e pacchi - La famiglia Flachi, secondo quanto emerso dalle indagini dei finanzieri guidati dal tenente colonnello Giancarlo Frisani, ha gestito per oltre 20 anni il mercato dei padroncini e delle cooperative legate al gruppo internazionale Tnt. La gestione è stata portata avanti tramite alcune società intestate a prestanomi e come nel caso dagli appalti edili, «dalle aziende Autotrasporti Alma srl, Edilscavi srl, Mfm Group srl, Cooperativa Regina ed altre allo stato non identificate». Una ragnatela sostenuta con vere e proprie «guerre» alla concorrenza. Violenza e minacce per ottenere l'esclusiva del trasporto merci a Milano e provincia.

Summit in corsia - È il primo pomeriggio del 18 aprile 2009, Pepé Falchi, da poco scarcerato per una grave malattia, assieme al figlio Davide incontra il boss Paolo Martino. L'appuntamento avviene nella sala d'aspetto del laboratorio Analisi dell'ospedale Galeazzi. L'incontro si replica altre 3 volte, con Martino e altri affiliati.
A filmare tutto ci sono i carabinieri del Ros guidati dal colonnello Sandro Sandulli. Secondo gli inquirenti il gruppo può contare sulla complicità di due dipendenti della struttura, mentre in un altro ospedale, il Niguarda, grazie ad un dipendente e anche all'interessamento dell'ex assessore provinciale Antonio Oliverio sarebbe stato curato il boss 'ndranghetista di San Luca Francesco Pelle. Ecco cosa annota il giudice Giuseppe Gennari nell'ordinanza di custodia cautelare: «L'ospedale Galeazzi è ridotto a luogo di incontro riservato al servizio della 'ndrangheta». E «la cosa gravissima è che questa ormai conclamata penetrazione, a vari livelli, della sanità lombarda accade nella sostanziale indifferenza (si spera dettata anche da ignoranza) dei vertici amministrativi e politici, che anche dopo le recenti indagini non risulta abbiano assunto alcuna iniziativa».
Gli ospedali interessati ieri hanno annunciato «indagini interne» (il Galeazzi è pronto anche parte lesa), ma chiarito che non sono state evidenziate responsabilità delle aziende ospedaliere. Anche il Pirellone ha precisato che non sono state riscontrate irregolarità.

Locali, security e panini - Al clan, grazie a Max Buonocore, andrebbero anche i soldi del Comune per la gestione del centro sportivo Iseo, Ma non solo, visto che i Flachi e gli uomini di Paolo Martino hanno gestito anche le discoteche De Sade di via Valtellina (teatro di un omicidio per ragioni di droga proprio legato all'indagine) e Babylon. Il De Sade è stato per anni un avamposto delle cosche. Ma nella rete di compiacenze e gestione di buttafuori e sicurezza (anche con poliziotti fuori servizio) sono molti i locali finiti nell'inchiesta: Just Cavalli, Hollywood, Officina della Birra. Ma i Flachi hanno gestito con gli uomini della cosca Pesce di Rosarno (Rc) anche il racket degli «autonegozi» i chioschi mobili per i panini. Richieste di pizzo e zone off limits. Senza l'assenso delle cosche «non si può lavorare a Città studi, in corso Como e in viale Sarca».
*****
Allarme della Dia: «La 'ndrangheta ha colonizzato la Lombardia»
Individuati 500 affiliati: esiste anche una struttura di raccordo regionale. Trapiantati riti e tradizioni

La Lombardia si conferma la regione del nord Italia che registra «il maggiore indice di penetrazione nel sistema economico legale dei sodalizi criminali della 'ndrangheta, secondo il modello della "colonizzazione"». È l'allarme lanciato dalla Relazione annuale della Direzione nazionale Antimafia, 1.110 pagine di dati e analisi sulla criminalità organizzata made in Italy. «In Lombardia», chiariscono gli analisti, «la 'ndrangheta si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di "colonizzazione", cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso. La 'ndrangheta ha «messo radici», divenendo col tempo un'associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla «casa madre», «con la quale però comunque continua ad intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più rilevanti scelte strategiche».

RITI E TRADIZIONI - In altri termini, in Lombardia «si è riprodotta una struttura criminale che non consiste in una serie di soggetti che hanno semplicemente iniziato a commettere reati in territorio lombardo»; al contrario, gli indagati «operano secondo tradizioni di 'ndrangheta: linguaggi, riti, doti, tipologia di reati sono tipici della criminalità della terra d'origine e sono stati trapiantati in Lombardia dove la 'ndrangheta si è trasferita con il proprio bagaglio di violenza». La 'ndrangheta è presente anche in Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio ed in particolare Roma, Abruzzo, ove sono emersi inquietanti interessi negli appalti per la ricostruzione dopo il sisma del 2009, Umbria ed Emilia Romagna. Per quanto attiene ai rapporti sul territorio, insomma, la 'ndrangheta «è oggi l'assoluta dominatrice della scena criminale, tanto da rendere sostanzialmente irrilevante, e comunque, in posizione subordinata, ogni altra presenza mafiosa di origine straniera». Non solo: la 'ndrangheta si è da tempo proiettata anche verso l'Europa, il Nord America, il Canada, l'Australia.

GLI AFFILIATI - Sono almeno 500 gli uomini affiliati alla 'ndrangheta in «locali» (i territori di base in cui è organizzata l'attività criminale in Lombardia. Le indagini hanno accertato che nella regione sono operativi i «locali» di Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Pioltello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio, e Seregno. Ma certamente - viene sottolineato - ne sono presenti altri. Il «locale» operante sul territorio lombardo è formato dall'aggregazione di 'ndrine distaccate che hanno riprodotto la forma organizzativa propria dei «locali» di provenienza. Il «locale» al suo interno ha una forma organizzativa piramidale, al vertice del quale vi è il capo locale.

IL VERTICE REGIONALE - Le 'ndrine operanti a Milano e in Lombardia - scrivono i magistrati - a un certo punto hanno avvertito la necessità di darsi una struttura di coordinamento, in seguito denominata «la Lombardia», che è diventata il punto di raccordo di tutti i «locali» esistenti. Peraltro - viene fatto notare - i rapporti con la casa madre non sempre sono stati idilliaci, sono certamente esistite frizioni tra Milano e Reggio Calabria. Tra i tanti particolari interessanti analizzati il fatto che la 'ndrangheta rimane impermeabile, vista la sua struttura su base familiare, al fenomeno del pentitismo. E poi il fatto che la Lombardia non è più un'«isola felice», non solo per la presenza delle mafie storiche del Sud, ma anche per la crescente presenza di organizzazioni criminali straniere (composte dapprima da turchi, cinesi, marocchini, sudamericani e quindi da albanesi, russi e slavi). Riguardo poi al narcotraffico, la presenza dei tre aeroporti di Linate, Malpensa e Orio al Serio, fa del territorio un crocevia dello sbarco di sostanze stupefacente.

GLI «INVISIBILI» - C'è inoltre l'allarme per le infiltrazioni nella pubblica amministrazione: «Emerge in modo costante e preoccupante, soprattutto nel Centro-Nord del Paese, la presenza sempre più gravemente pervasiva di soggetti collegati alle organizzazioni criminali, soprattutto di matrice 'ndranghetistica». Una situazione che viene definita«particolarmente temibile». Infatti, spiega la Dna, «c'è il rischio che si crei una schiera di "invisibili" che, germinata dalle cellule silenti delle mafie al Centro-Nord, penetri in modo silente ma insidioso il tessuto politico, istituzionale ed economico delle regioni oggetto dell'espansione mafiosa». E non si ritiene sia una caso se, come si ricorda, «l'Unione Europea e la comunità internazionale convergono verso l'attribuzione di un medesimo coefficiente d'allarme per i delitti di corruzione e quelli di criminalità organizzata, a riprova di un coacervo illecito che andrebbe congiuntamente esplorato, con i medesimi mezzi probatori e le stesse tecniche investigative», come «le intercettazioni telefoniche e ambientali».

*****
Quegli affari gestiti dalle Locali da Il Giorno
Corsico, 9 luglio 2011 - È tempo di processi per le 174 persone coinvolte nella maxi operazione “Infinito”, l’indagine che nello scorso anno decapitò le ’ndrine che negli anni si erano suddivise il territorio della Lombardia. Secondo quanto accertato dalla Dda di Milano che ieri ha chiesto 118 condanne fino a vent’anni di reclusione, quindici erano le «locali» che gestivano i traffici nella regione, vere e proprie associazioni verticistiche con i tradizionali sistemi seguiti nella terra d’origine della ‘ndrangheta: la Calabria.

Nei comuni del sud Milano il controllo degli affari era nelle mani dei Reggini: per la maggior parte sono imprenditori che si sono collocati nel mercato abbracciando vari campi, dal tradizionale movimento terra, a quello dei locali pubblici per continuare con i mobilifici. Se a Buccinasco sembra essersi fatto le ossa quello che gli inquirenti hanno definito il capo dei capi, Pasquale Zappia (per il quale sono stati chiesti 18 anni), la zona di comando, il quartier generale è stato individuato a Corsico.

Al vertice, secondo gli inquirenti, c’era Bruno Longo, mobiliere del Corsichese i cui compiti spaziavano dalle decisioni alla pianificazione e all’individuazione delle strategie da tenere per continuare a garantire il sodalizio tra i calabresi in Lombardia. Nonostante l’origine di Portigliola, aveva comunque un legame forte e familiare con Platì, città dalla quale provengono altri esponenti delle cosche che hanno costruito il loro impero economico-patrimoniale nel sud ovest milanese. Secondo le ricostruzioni degli investigatori, il suo negozio in «corea», la zona di confine con Buccinasco erano spesso utilizzato per i summit.

Tra gli altri componenti della ‘ndrina Sandro Commisso, con la dote di «quartino» e, della vicina Buccinasco, Giosofatto Molluso, originario di Platì. Il suo trasferimento al nord più o meno è coinciso con l’arresto del fratello nell’ambito dell’indagine “Nord – Sud”, all’esito della quale è stato condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione ed associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Molluso, conosciuto come Gesù, lavorava come operatore nel settore dei movimenti terra, uno degli ambiti in cui i tentacoli della ‘ndrangheta avevano instaurato un sistema di monopolio. A Rozzano invece viveva Vincenzo Lavoratache si occupava di reclutare nuove leve.
di Francesca Santolini
*****
Milano nelle spire della Piovra
Cocaina, usura, appalti: la morsa soffocante della 'ndrangheta

I due giovani sposi dopo il fastoso matrimonio celebrato il 15 luglio 2006 nella chiesa di Sant'Angelo, nel cuore di Milano, si trasferirono per il ricevimento di nozze al Grand Hotel Villa d'Este di Cernobbio, sul lago di Como, dove ogni anno si riuniscono banchieri, ministri, cardinali, capi di Stato, industriali, accademici sapienti per discutere di economia e di politica. Gli sposi, Francesco Lampada e Maria Valle, rampolli delle più potenti famiglie della 'ndrangheta in Lombardia, attraversarono in carrozza il lungo viale che conduce al Grand Hotel accolti festosamente da trecento invitati. Adesso si sa anche il menu di quella cena di gala, crostini di gamberetti, tempura di verdure, arlecchinata di carni, torta nuziale di quattro piani e il tradizionale mosaico di frutta. Con un gran finale di fuochi d'artificio sull'acqua del lago e di giochi di luce nei giardini.

Tra gli invitati c'era il gotha della 'ndrangheta lombarda, boss, superboss, latitanti da anni, manager al loro servizio, e con loro gli ambasciatori dei poteri criminali paralleli, Cosa nostra e camorra, venuti dalla Calabria, dalla Sicilia e dal Napoletano per il prestigio delle famiglie protagoniste dell'evento.

I due novelli sposi finiranno entrambi in carcere qualche anno dopo, nel 2010. Solo allora i carabinieri verranno a sapere. (Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa era ben attento ai battesimi e ai matrimoni dei mafiosi e ordinava ogni volta ai suoi uomini di annotare i nomi degli invitati. Ne usciva sempre una mappa aggiornata sulla situazione criminal-politica).
Gianni Barbacetto e Davide Milosa hanno scritto un corposo libro sui boss della 'ndrangheta che vivono tra noi e controllano Milano: Le mani sulla città (Chiarelettere editore). Giornalisti entrambi, conoscono bene il problema dei poteri criminali. Barbacetto ha scritto libri importanti su questi anni poco sereni, coautore, tra l'altro, di Mani pulite , autore di Campioni d'Italia , di B. , del Grande Vecchio .

Le mani sulla città (un omaggio al famoso film di Francesco Rosi?) è un catalogo prezioso, ricchissimo di informazioni: dal matrimonio di Cernobbio al riciclaggio di denaro sporco, al traffico, in misura quasi industriale, di cocaina, alla solidità o debolezza delle 'ndrine, all'usura, al pizzo quasi generalizzato, alle estorsioni, agli appalti e ai subappalti fuorilegge, alla rapina di aziende che emettono fatture false e creano fondi neri per riciclare il denaro della droga. Fino ai delitti.

Tutto questo ben documentato. Succede nell'ex capitale morale. Anche se l'ex sindaco Letizia Moratti si infuriava a sentir parlare della presenza della mafia dentro le vecchie mura. Denigrazione gratuita di un'operosa città dedita soprattutto al volontariato, diceva. E il prefetto in carica, Gian Valerio Lombardi, scrisse in una relazione consegnata alla commissione parlamentare Antimafia che a Milano la mafia non esiste nell'accezione classica del termine. Chissà qual è l'accezione classica del termine. È una vecchia abitudine negare pericolosamente l'evidenza: anche il sindaco Pillitteri proclamava un tempo che a Milano la mafia non esiste proprio.
Si sono celebrati invece nel passato prossimo un'infinità di processi a carico di 'ndranghetisti. La Direzione distrettuale antimafia ha fatto e fa un lavoro di grande rilievo. Basta ricordare la retata, oltre 300 arresti, tra Reggio Calabria e Milano, più della metà chiesti da Ilda Boccassini, il 13 luglio 2010: affari, intrecci politici, omicidi. Sembra che la 'ndrangheta sia a Milano l'azienda leader, con consulenti di prim'ordine, commercialisti, avvocati, notai al suo servizio. L'associazione criminale è proprietaria di interi isolati di case, centri commerciali, aziende, negozi, non più soltanto bar, ristoranti, alberghi, l'antica passione.

Il minuzioso libro di Barbacetto e di Milosa non si nasconde dietro schermi ambigui: fa i nomi di politici, di imprenditori, di broker. La prima parte delle Mani sulla città è dedicata proprio ai rapporti tra politica e 'ndrangheta. I politici, se non del tutto collusi, sono di certo disinvolti. Appaiono assai poco limpide infatti le loro frequentazioni, con gli inquinamenti che ne derivano: voti in cambio di appalti. Dal Cordusio a piazza del Duomo a piazza Diaz a via Montenapoleone, e su altri quartieri del centro storico, pesano le mani della 'ndrangheta che, per un patto con Cosa nostra di una ventina di anni fa, possiede a Milano l'esclusiva, anche se non totale, del crimine. Il libro è anche un piccolo trattato della malapolitica. Racconta le cene degli uomini di partito con i boss 'ndranghetisti, le trattative per procacciare affari, appalti, subappalti, racconta le operazioni finanziarie di alto bordo, nazionali e internazionali, tra Milano, la Sardegna, la Svizzera, Londra, nel solco dell'inarrivabile gran maestro Michele Sindona.

Le attività della 'ndrangheta, esercitate spesso con abilità, sono innumerevoli. Non soltanto i traffici tradizionali, l'edilizia, il movimento terra, la logistica, ma anche le sale bingo, le scommesse, il controllo del lavoro nero. E l'alta velocità, in attesa dell'Expo. In città e nell'area metropolitana, Cesano Boscone, Buccinasco, Trezzano sul Naviglio, Cisliano.
Il problema è grave e riguarda tutta la comunità. Liberare Milano dovrebbe essere uno slogan persino ovvio.

*****
Buccinasco, l’ex sindaco finiscenei guai per una discarica abusiva
Dopo il rinvio a giudizio del 5 ottobre scorso per tangenti, per Loris Cereda, ex primo cittadino del Comune a sud di Milano, arriva l'avviso di chiusura indagine per un grave reato ambientale. Insieme a lui sono finiti nei guai Mario Pecchia, storico ras dell'edilizia meneghina e Renato Pintus, ex funzionario della Federazione provinciale Pci/Pds che nei primi anni '90 fu coinvolto in un giro di mazzette a Pieve Emanuele pagate dal Gruppo Edilnord di Paolo Berlusconi
Articolo modificato il 13 ottobre 2011 alle ore 21,42: il progetto di Buccinasco più in via Guido Rossa prende avvio sotto la giunta Lanati di centrodestra e non come scritto da noi sotto quella di centrosinistra che lo riceve in eredità. Si ringrazia per questo il signor David Arboit del Pd di Buccinasco che rivela l’errore in un misurato e distaccato commento sul sito del Pd locale. Dopodiché, però, il PII pensato dalla giunta Lanati viene abordito. Per rinascere sotto l’amministrazione di centrosinistra il 18 giugno 2003 con prot. gen. n. 11563. Questo Piano integrato d’intervento sostituisce in modo integrale il precedente presentato il 4 gennaio 2002con prot. gen. n. 21653.(Commissario Prefettizio, arrivato dopo lo scioglimento del comune allora governato dal centrodestra). Il PPI Guido Rossa è stato definitivamente approvato con delibera di Consiglio Comunale n. 16 dell’11 maggio 2004 (ammninistrazione centrosinistra). Infine, la convenzione per l’attuazione del piano è stata sottoscritta il 6 luglio 2004 e registrata il 13 luglio presso l’Agenzia delle Entrate sempre durante l’amministrazione del centrosinistra. Questo solo per dovere di cronaca.

Dalla corruzione creativa ai rifiuti. Dai favori barattati con giri in Ferrari o in Bentley alla gestione di una discarica abusiva. Per Loris Cereda, ex sindaco di Buccinasco (paese a sud di Milano), i guai non finiscono. Anzi raddoppiano. E così, dopo che il 5 ottobre scorso il sostituto procuratore Maurizio Romanelli ne ha chiesto il rinvio a giudizio per tangenti, ora si apre una nuova partita giudiziaria che ruota attorno a un grave reato ambientale. Un brutto affare che l’ex primo cittadino condivide con altre cinque persone tutte raggiunte dall’avviso di chiusura indagine firmato dal pm Paola Pirotta. Tra questi spicca il nome di Mario Pecchia, storico ras dell’edilizia alla milanese e quello di Renato Pintus, ex funzionario della Federazione provinciale Pci/Pds che nei primi anni Novanta fu coinvolto in un giro di mazzette nel Comune di Pieve Emanuele pagate dal Gruppo Edilnord di Paolo Berlusconi.

Impresa e politica. Vecchi e nuovi protagonisti. Sul piatto oggi però non ci sono gli affari del Cavaliere, ma la maxi speculazione edilizia di “Buccinasco più” in via Guido Rossa sulla quale, secondo il tribunale, ha fatto affari anche la ‘ndrangheta. E se le cosche, per adesso, restano sullo sfondo, a inquietare è il capo d’imputazione che pesa su Cereda, Pintus e Pecchia accusati dal pm Pirotta “di aver realizzato e gestito illecitamente e senza autorizzazione una discarica di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi”. E averlo fatto “attraverso ripetute operazioni di riempimento con innalzamento del piano campagna da tre a cinque metri”. Secondo l’accusa sono stati movimentati “circa 150.000 metri cubi di rifiuti”. Insomma, monnezza “di dubbia provenienza” costituita “da residui di demolizioni civili e industriali” il tutto “mischiato con terra di scavo”. Di più: i rilevamenti effettuati dall’Arpa hanno individuato anche presenza di amianto, idrocarburi e piombo. Il tutto in concentrazioni superiori “ai limiti consentiti per l’uso residenziale”. Risultato: la modifica permanente di oltre 50mila metri quadrati dell’area di via Guido Rossa destinata a verde pubblico. Il guaio giudiziario riguarda anche la Finman, storica società della famiglia Pecchia con sede legale a due passi da piazza Duomo. Alla spa viene contestato il fatto di “aver consentito al Comune” di riprendersi l’area senza che la stessa società abbia rimosso i rifiuti presenti e lasciando che l’attività di forestazione semplicemente “rullasse” la spazzatura sul posto in questo modo inquinando il terreno.

Della partita è anche l’ingegnere Eugenio Ceroni. Nell’agosto 2007 (a maggio Cereda viene eletto sindaco) il tecnico viene nominato collaudatore proprio per le opere di urbanizzazione di via Guido Rossa. Il neo sindaco, va detto, segue semplicemente una disposizione siglata dalle amministrazioni precedenti e che rientra nel Piano integrato d’intervento. Ceroni dunque è un pubblico ufficiale e con tale carica insieme a Pecchia e Pintus falsifica (in parte) il collaudo delle operazioni di urbanizzazione “primarie e secondarie”. Obiettivo: “Ottenere un vantaggio patrimoniale della Finman” quantificato in oltre 600mila euro. Vantaggio che però non si verificherà perché il 27 settembre 2010 la polizia Provinciale su mandato della procura sequestra l’intera zona. Ne emerge una discarica nascosta sotto un enorme complesso residenziale in buona parte abitato. Dalla verifica saltano fuori “plinti di cemento, mattoni refrattari, tubi in gress, scorie vetrificate, residui secchi di coloranti industriali”. E’ gomorra alla milanese. Con le cosche che guadagnano dietro il paravento d’imprese lombarde e i cittadini che acquistano appartamenti costruiti sopra una vera bomba biologica.

Questi i fatti che coinvolgono l’ex giunta di centrodestra, ma non solo. L’intera speculazione di via Guido Rossa, infatti, partita sotto una precedente amministrazione di centrodestra, prosegue sotto quella di centrosinistra e coinvolge un’area molto vasta. Ai nastri di partenza ci sono diversi operatori. A fare la parte del leone c’è la Finman di Pecchia e figli. Il regista, resta però Mario Pecchia, classe ‘ 37, origini calabresi, ma carriera tutta lombarda. Uomo delle Acli, in passato il suo nome viene citato anche da un pentito di ‘ndrangheta e collegato alla potente cosca Papalia. Si tratta di Saverio Morabito le cui dichiarazioni faranno luce su oltre dieci anni di storia di mafia in riva al Naviglio. Racconta l’ex manager dei clan: “I Papalia lì si appoggiavano a un certo Pecchia, che è stato assessore o consigliere comunale per circa vent’anni. I rapporti erano poco puliti: combinavano in modo di ottenere appalti coinvolgendo Pecchia o chi per lui”. Pecchia, va detto, non verrà mai indagato per queste dichiarazioni. Eppure, sfortuna vuole, che il suo nome (anche qua non oggetto di indagine penale) venga più volte citato nell’inchiesta Cerberus che nel 2008 racconterà il monopolio mafioso sul movimento terra in Lombardia. Referenti sempre i Papalia e i Barbaro di Buccinasco. Solo allora si scoprirà che i camion e le ruspe della ‘ndrangheta nei cantieri di via Guido Rossa da anni vanno a gonfie vela. Il tutto con il presunto boss Salvatore Barbaro a dirigere il traffico dei bilici intestati a società legate a presunti affiliati. E Pecchia? Resta in mezzo. Per lui nessun avviso di garanzia. E però una consapevolezza della presenza mafiosa che emerge dalle intercettazioni. Come lui più volte gli investigatori ascoltano il nome di Renato Pintus (non indagato in Cerberus) consulente dei Pecchia e interfaccia dell’amministrazione pubblica. Di lui si sono perse le tracce dalla prima metà degli anni Novanta, quando, da referente del Pci/Pds, si trova coinvolto in un giro di mazzette. E’ il 1995. Il 18 febbraio viene condannato con pena sospesa. Sedici anni dopo lo ritroviamo indagato. Al centro sempre il mattone.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/13/buccinasco-lex-sindaco-finiscenei-guai-per-una-discarica-abusiva/163330/







Grazie a Paolo Cicerone:
http://www.meetup.com/grilli-del-parco-sud/messages/boards/thread/6513980/0#26155366

Nessun commento:

Posta un commento